Ciao a tutti.
Riprendo solo ora questo topic (in cui vengo chiamato in causa, vedi post iniziale) perché fino a questa settimana questo mio account era stato sospeso dal gestore di Geolive.
Preciso subito che, nonostante il post iniziale abbia un tono denigratorio nei miei confronti, in questo post mi atterrò esclusivamente al tema tecnico, augurandomi che gli eventuali interlocutori facciano altrettanto.
"geocinel" ha scritto:
Si possono fare riconfinazioni senza conoscere approfonditamente la topografia nei suoi meandri più oscuri, come è parte della teoria degli errori per molti di noi che hanno fatto la scuola per Geometri. Basta comunque avere conoscenza su quelle che sono le nozioni fondamentali di tale teoria.
Concordo, ma solo in parte, con questa affermazione.
È vero che un geometra può risolvere correttamente una riconfinazione anche senza conoscere la teoria degli errori applicata in topografia. E concordo anche sul fatto che in una disputa di confini sia preponderante la ricerca dei più validi mezzi di prova.
Tuttavia, qualora la ricostruzione del confine si risolva a partire da un rilievo topografico, ritengo che il riconfinatore debba essere un topografo. E a mio avviso, un topografo degno di questo titolo non può non conoscere la teoria degli errori ed applicarla effettivamente ai propri lavori. Dire che “basta conoscere le nozioni fondamentali” della teoria degli errori, senza in realtà applicarla, significa di fatto non essere in grado di determinare l’incertezza del proprio operato, il che comporta il rischio concreto di non accorgersi di errori che possono superare la soglia di tollerabilità. Questo perché nell’errore non tollerabile può incorrervi, per le cause più disparate, anche il tecnico esperto convinto di aver operato con la massima diligenza.
Solo il calcolo analitico degli errori dà l’incertezza metrica del lavoro svolto dal topografo e gli permette quindi di acquisire la sicurezza di non essere incorso in errori non tollerabili.
"geocinel" ha scritto:
Ciò premesso quella slide ...[omissis]… riguarda gli eventuali errori che derivano dallo sbandamento della figura sui punti di appoggio. E poiché, in quel caso, gli sbandamenti possono assumere una tale forma, di ellisse avevo parlato.
Ripropongo per comodità quella slide:
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Questa esposizione è sbagliata concettualmente e come tale risulta fuorviante per chi non ha adeguata cognizione di causa. Come ho già avuto modo di dire in altro topic, infatti, i punti di confine (che la slide raffigura con ellissi) sono punti calcolati a valle del processo risolutivo e non hanno pertanto alcuna ellisse. L’ellisse d’errore riguarda sempre e soltanto punti “misurati” e mai punti “calcolati” che non esistono nella realtà e che vengono, al contrario, tracciati a posteriori sul terreno.
Quanto affermato nella slide, inoltre, fa discendere le ellissi dei punti di confine (ellissi, ripeto, del tutto inesistenti) dall’errore temibile che può manifestarsi sulla rotazione calcolata sui punti di inquadramento (punti doppi mappa-rilievo) in applicazione della rototraslazione ai minimi quadrati. Anche questo è concettualmente sbagliato, perché l’eventuale errore di rotazione fa percorrere ai punti di confine un arco di circonferenza, non un’ellisse.
"geocinel" ha scritto:
Non avevo e non ho parlato di ellisse standard d'errore, che è tutta un'altra cosa e che riguarda appunto equazioni di teoria probabilistica riferite a variabili casuali e che servono a calcolare l'area entro il quale può ricadere un punto.
Ok, allora ne parlo io dell’ellisse d’errore, inteso in senso generale perché quello “standard” è soltanto una sua particolare dimensione che ne esprime il “livello di confidenza”, cioè la probabilità che il punto ricada al suo interno, parametro che in topografia viene assunto convenzionalmente pari a 1σ (vedi sotto), cioè pari al 39.4%.
Innanzi tutto non è vero che l’ellisse riguarda soltanto “variabili casuali” ma è il frutto di tutte le misurazioni svolte ed è pertanto un indice fondamentale per individuare eventuali difetti, sempre possibili, delle misurazioni stesse.
I parametri che definiscono l’ellisse d’errore sono riportati in questa figura:
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Dove:
σx, σy, sono gli errori quadratici medi del punto nelle due direzioni X-Y e rappresentano le dimensioni del rettangolo d’ingombro dell’ellisse.
σ2x, σ2y (i quadrati degli e.q.m.) sono le varianze delle coordinate X-Y, mentre σxy è la loro covarianza, esprime cioè la variazione della X in funzione del variare della Y.
Come mostrano le formule in figura, a partire dalle varianze X e Y e dalla covarianza X-Y si possono calcolare gli elementi generatori dell’ellisse, vale a dire i semiassi maggiore (a) e minore (b) e l’azimut φ riferito al semiasse maggiore.
Ma come si determinano le varianze e la covarianza?
Naturalmente lo sviluppo effettivo del procedimento richiederebbe una trattazione molto lunga e complessa che non è compatibile con un post su un forum (lo farò nei webinar di cui parlo alla fine), oltre al fatto che presuppone la conoscenza di alcune nozioni matematiche come il calcolo matriciale, le derivate e lo sviluppo in serie di Taylor. Mi limito quindi ad una semplice esposizione descrittiva e, giocoforza, sommaria.
Partiamo dal caso classico in cui, come insegna la buona prassi topografica, le misure rilevate siano sovrabbondanti rispetto allo stretto necessario (più avanti parlerò anche del caso in cui non lo siano). Il processo risolutivo consiste nel “geometrizzare” il problema, il che significa compiere le seguenti due attività:
1) Determinare a priori i valori approssimati delle coordinate dei punti incogniti. Questo compito può essere svolto in vari modi, come ad esempio l’applicazione di un calcolo
isodeterminato, cioè che non tenga conto delle misure sovrabbondanti; oppure anche, laddove possibile, tramite una semplice rilevazione grafica da CAD. Non è infatti importante risalire a valori ben approssimati delle coordinate, queste possono anche differire in misura significativa e del tutto fuori tolleranza rispetto ai valori effettivi. Ci penserà poi il calcolo iterativo in applicazione della teoria degli errori a correggere tali valori approssimati fino ad individuare quelli più coretti (probabili).
2) Costruire un sistema di equazioni lineari che metta in relazione i dati noti a priori con le misurazioni realmente eseguite in campagna, dove per "dati noti a priori" intendo le coordinate dei punti di inquadramento (per Pregeo sono i PF) e quelle approssimate attribuite ai punti incogniti da determinare. Per chi non lo sapesse, per “equazioni lineari” si intendono equazioni che abbiano soltanto coefficienti numerici, quindi senza alcuna funzione né trigonometrica (seno, coseno, ecc.), né algebrica (radice quadrata, ecc.), e in cui le incognite siano soltanto di grado 1, cioè non al quadrato, al cubo, ecc.
Naturalmente questo sistema di equazioni sarà sovrabbondante, nel senso che avrà un numero di equazioni superiore al numero delle incognite e va quindi risolto con il metodo dei minimi quadrati. Con riferimento al punto 1 della figura che segue, questa sovrabbondanza viene detta “ridondanza globale” (ma poi va considerata anche la “ridondanza locale” afferente a ciascun punto) e viene espressa dal denominatore
n – m dell’
errore medio dell’unità di peso, valore che esprime una stima sintetica della qualità del lavoro, dove:
- al numeratore c’è la sommatoria dei quadrati degli scarti derivanti dalla risoluzione ai minimi quadrati;
-
n è il numero delle equazioni, cioè di misure eseguite;
-
m è il numero delle incognite, cioè le coordinate (o, meglio, la "variazione di coordinate") da trovare.
Ovviamente, quanto più è elevato il denominatore, cioè si ha sovrabbondanza di misure, tanto minore sarà l’errore medio e tanto più “robusto” risulterà il rilievo eseguito.
La risoluzione ai minimi quadrati avviene grazie alla costruzione della “matrice normale”
D e della sua inversa
D-1, matrici che, come indicato in figura, dipendono esclusivamente dalla geometria del problema e non dalle misure. Dalla moltiplicazione dell’
errore medio dell’unità di peso con quest’ultima matrice si ricava infine la matrice di varianza e covarianza che fornisce gli elementi dell’ellisse d’errore.
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"geocinel" ha scritto:
Il tutto da misure sovrabbondanti. Ma non sempre. E da qui la provocazione. A lui che ha la pretesa di insegnare i meandri oscuri del Pregeo ho chiesto il perché quel programma calcola gli ellissi anche su punti che non sono il frutto di misure sovrabbondanti e come lo fa.
Nessuna risposta. Semplicemente perché non lo sa, come d'altronde tutti noi.
Sul fatto di sapere o non sapere qualcosa, ciascuno farebbe bene a parlare per sé. Quanto alla mancata risposta, devo dire che quando ti viene bloccato l’accesso al forum per mesi è difficile rispondere a chi invece può continuare scrivere usando tranquillamente toni denigratori.
Ma torniamo all’ellisse nel caso in cui, come fa Pregeo, viene calcolato anche in mancanza di misure sovrabbondanti. La domanda è dunque questa:
Come si può calcolare l’ellisse d’errore se non c’è sovrabbondanza di misure? Come si evince dalla figura sopra, dei due fattori che danno luogo alla matrice di varianza e covarianza (e quindi ai parametri dell’ellisse), solo l’
errore medio dell’unità di peso dipende dagli strumenti impiegati e dalle misure eseguite, mentre la matrice inversa utilizzata nel calcolo ai minimi quadrati dipende esclusivamente dalla geometria del problema ed è quindi nota a priori.
Ora è evidente che nel caso di misure sovrabbondanti l’
errore medio dell’unità di peso viene calcolato “a posteriori” in funzione delle reali misurazione eseguite. Ma nulla vieta di poter farne anche una stima “a priori” (vi suonano nuovi questi termini pensando a Pregeo?).
Come si può calcolare l’errore medio dell’unità di peso “a priori”? Semplice, lo si calcola in funzione dell’errore medio cui è soggetta la strumentazione utilizzata. Ad esempio, nel caso di un normale rilievo celerimetrico, supponiamo che la stazione totale utilizzata abbia questi valori di tolleranze dichiarate:
Angolare: σα = 0.0009 gon
Lineare: σd = 2 mm + 2 ppm (2 mm/km)
Per calcolare l’
errore medio dell’unità di peso “a priori” bisogna dapprima rendere questi due valori omogenei come unità di misura. Per l’errore angolare questa operazione si esegue trasformandolo in radianti:
0.0009 gon * π / 200 = 0.000014137 rad
Per l’errore lineare lo si determina in funzione della distanza del punto dalla stazione ed il risultato lo si divide per la distanza stessa in modo da trasformarlo anch’esso in radianti. Ad esempio, data una distanza di 300 m:
σd = 2 mm + 0.3 km * 2 mm/Km = 2.6 mm / 300000 mm = 0.000008666 rad
A questo punto, da questi due valori è necessario ricavarne uno univoco. Questa operazione si fa in genere mediante una media pesata, cioè introducendo pesi diversi per le rilevazioni angolari e lineari in considerazione della strumentazione utilizzata e delle condizioni ambientali del rilievo. Senza voler addentrarci in questa disquisizione, considerando quindi per semplicità una sola media aritmetica, si avrà che l’errore medio dell’unità di peso “a priori” sarà pari a:
σ0 = (σα + σd) / 2
Questo valore, elevato al quadrato, e poi moltiplicato per la matrice inversa della matrice normale (ripeto, derivante solo dalla geometria del rilievo) si ottiene l’ellisse d’errore stimato per il punto in questione.
In autunno affronterò tutti questi temi con il dettaglio necessario mediante appositi webinar online nei quali svilupperò una serie di esempi (con i calcoli su Excel) in applicazione del procedimento sopra descritto e ne metterò a confronto i risultati con quelli ottenuti da Pregeo. Data la complessità degli argomenti trattati, i webinar saranno a numero chiuso. Pertanto, chi intende parteciparvi si prenoti dando la sua adesione rispondendo a questo topic oppure contattandomi ai recapiti in calce
A presto,
geom. Gianni Rossi
cell. 3202896417
Email: kemplen81@gmail.com