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Autore Illeciti edilizi-Soluzioni e proposte

amastria

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12 Febbraio 2003

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 0 -  0 - Inviato: 30 Dicembre 2018 alle ore 13:33

Riprendo e trascrivo, seppur in modo succinto, una interessante discussione/analisi riguardante gli abusi edilizi in Italia e una proposta di soluzione per eliminare/arginare questa piaga che non accenna a diminuire…..anzi!!

La soluzione proposta è veloce, facile ed a costo zero per le casse dei comuni.

Aggiungo: in piu’ sarebbe una opportunità di lavoro per tutte le categorie di tecnici per rivitalizzare la professione anche dal punto di vista economico.

L’analisi/proposta è ripresa da un noto sito (che non cito per non essere tacciato di orientamenti politici ) in cui si rileva ed osserva che:

La “macchina” relativa all’immenso mondo dell’edilizia muove gran parte dell’economia italiana. Ma dietro questo ampio settore produttivo si celano i mali più gravi della società moderna che portano l’individuo ad un comportamento lontano dalla natura umana per la quale è predisposto.
L’edilizia in Italia è sinonimo di corruzione, condoni, abusivismo, illeciti, lavoratori in nero, morte sui cantieri, eco-mostri, tragedie etc… e quanto di più marcio sia possibile ipotizzare.

Quando ci si imbatte in una qualsiasi opera edilizia si aprono scenari che non riusciamo nemmeno ad immaginare, dove l’autorizzazione rilasciata dagli enti preposti (Comune, Provincia, Regione, Sovrintendenza, etc.) è soltanto la piccola parte della punta dell’iceberg, che rappresenta l’opera stessa.

Ritirare una qualsiasi autorizzazione edilizia comporta un iter che si sa quando inizia ma non si ha certezza di quando finirà, a volte trascorrono anni, a volte trascorre tanto di quel tempo tempo che fa decadere qualche eventuale nulla osta propedeutico all’autorizzazione: il caos totale.

Ma come si esce dal caos oggi? Con un bell’illecito edilizio! Come da prassi italiana!?

Lo scenario che meglio identifica l’iter “edilizio” attuale coinvolge non pochi personaggi (tutti caratteristici di un’opera del Pirandello): per primo abbiamo il “Committente” privato o pubblico…………..; poi troviamo il “Progettista”, un Ingegnere e/o un Architetto, che redige il progetto conformemente alle normative vigenti e nella correttezza della professionalità e presenta il tutto allo Sportello Unico per l’Edilizia (il S.U.E.) del competente Comune di riferimento, per l’autorizzazione; a seguire il “S.U.E.” ……che rilascia la tanto aspettata autorizzazione; in un’opera Pirandelliana abbiamo poi le comparse (in tutti i sensi) che sono qui identificate con la “Ditta dei Lavori”, regolarmente iscritta alla CCIAA, all’INAIL, alla CASSA EDILE, etc, con relativo DURC, che con operai in regola (si spera) realizza quanto autorizzato (si spera).

Ma dove si ingarbuglia la questione? Dove il sistema traballa? A chi addebitare ritardi e danni? Di un iter che sembra semplicissimo?

Il primo danno è causato dal committente nella scelta del tecnico, scelta ponderata male poiché basata esclusivamente sul prezzo (basso onorario, servizio scadente).

Il danno successivo, che porta a ritardi senza cognizione di causa e ai primi illeciti di legge, è causato dal tecnico del SUE al quale viene assegnata la pratica, sempre oberato di lavoro.

Quando finalmente si ottiene l’autorizzazione a procedere inizia l’agognata ricerca della ditta per l’esecuzione dei lavori. Lo scenario diventa un gioco di magia, preventivi che vanno e vengono, prezzi che variano a seconda del numero dei lavoratori in nero – le comparse pirandelliane, quasi sempre stranieri e senza comprovata esperienza nel settore, forse menzionati sul libretto presenze della ditta – e dal possibile versamento dell’IVA. Questo, è certo, porta ad una realizzazione pessima e di mediocre livello, con rischi per tutti.

Quando, nel migliore dei casi, le opere sono state eseguite, rientra nuovamente in gioco il professionista incaricato alla progettazione che, coincidente quasi sempre con il Direttore dei Lavori, a meno che lo stesso non abbia dato forfait a seguito di immani danni in corso d’opera, realizzati il più delle volte dalle “comparse” promosse sul campo, redige la fine dei lavori. Utopia pura, che mai coincide con quanto richiesto; servirà sempre una variante in corso d’opera e/o un sospirato condono (prassi Italiana per eccellenza).

Come rimediare?

L’attività di controllo può essere alla base del riordino dell’iter sopra descritto.

Da chi far svolgere questo controllo?

Gli uffici ne hanno di risorse? Gli Uffici no, ma il territorio è ricco di tecnici professionisti regolarmente iscritti ai rispettivi ordini e che conoscono, per la buona professionalità che esercitano, come doveroso che sia, le normative.

Il riordino del D.P.R. 380/2001 e smi (Testo Unico per l’Edilizia) ha spianato la strada a questa possibile soluzione, conferendo ai tecnici iscritti ai vari ordini professionali i doveri e le responsabilità ai quali sono preposti.
Questo aspetto, purtroppo, non viene preso alla lettera. Ad oggi ogni singola dichiarazione di un tecnico privato, iscritto al relativo ordine professionale e che lavora per un committente, deve essere avallata ed approvata da un altro tecnico pubblico (Statale, Regionale, Provinciale, Comunale, etc.).

Tralasciando l’assurdità che spesso in Italia è difficile riscontrare tra tecnico privato e tecnico pubblico un’equipollenza di titoli di studio, l’attività di controllo proposta andrebbe svolta esclusivamente da tutti i tecnici regolarmente iscritti ai relativi ordini professionali e riconosciuti negli elenchi di ogni singolo ente pubblico per il quale svolge l’attività di controllo.
L’attività di “controllo” ricercata nel mondo dell’edilizia corrisponde all’attività di Consulenza Tecnica di Parte e di Ufficio già attiva nell’ambito giuridico processuale italiano.
Allo stesso modo lo scrivente ritiene proficuo per l’intera società lo “scambio” di professionalità tra privato e pubblico.

La proposta prevede la nomina di un tecnico (ingegnere e/o architetto obbligatoriamente iscritti nei rispettivi Ordini professionali; istituzione di un elenco specifico con nomina a sorteggio/rotazione) in qualità di organo di controllo e verifica in fase esecutiva, a supporto esterno al tecnico responsabile del procedimento (pubblico) per ogni singola pratica edilizia (CIL, CILA, SCIA, OSP, etc) presentata, da ogni singolo cittadino (privato), tramite SUE.

Questa figura avrà il compito di visionare (sopralluogo e confronto con la documentazione presentata) l’oggetto della relativa pratica edilizia (unità immobiliare, facciata fabbricato, etc), immediatamente all’atto della presentazione della pratica (inizio reale dei lavori solo dopo sopralluogo); un secondo ed ultimo sopralluogo sarà effettuato successivamente alla presentazione della fine lavori (controllo e verifica accatastamenti, esecuzione lavori, etc), con invio di relazione tecnica direttamente al responsabile del procedimento.

La proposta risulta realmente fattibile ed immediata e ampie sono le prospettive lavorative nel settore edilizia per ingegneri e/o architetti. Immediata e certa è la riduzione dei compiti (ad oggi non realmente svolti per mancanza di organico) agli organi pubblici. Ci sarebbe così un reale controllo di tutte le attività edilizie sull’intero territorio ed un reale controllo sui requisiti delle ditte esecutrici (lavoratori in nero, mancanza di assicurazioni, etc).
Con l’attività di controllo si otterrebbe una riduzione drastica di interventi illeciti, abusivi e/o dichiarati in costruzione/costruiti, etc, ………………………………………….

La proposta non ricadrebbe sulle spese degli Enti Pubblici, non ci sarebbe nessun impegno economico da parte degli Enti Pubblici.

La prestazione professionale sarà corrisposta dall’intestatario della pratica edilizia (Committente Privato), oltre i Diritti di Istruttoria e/o gli Oneri Concessori, sotto forma di Diritti di Verifica e Collaudo direttamente all’Ente Pubblico che provvederà successivamente al pagamento della figura professionale.

L’intestatario privato della pratica edilizia NON sarà a conoscenza di quale tecnico (privato) è stato nominato per la verifica/controllo dei suoi lavori, ciò eviterà che non ci sarà alcuna possibilità di connivenza tra tecnico dichiarante e intestatario della pratica (NO dichiarazione mendaci a seguito di compensi esagerati).

Le responsabilità dell’intestatario e/o del tecnico dichiarante non saranno sminuite e/o ridotte come avviene ora, la figura di controllo e verifica sarà una figura a supporto delle stesse unità pubbliche, rappresenterà l’occhio vigile dell’Ente sul proprio patrimonio edilizio.

Così operando, il tecnico dichiarante proporrà al proprio cliente solo ed esclusivamente lavori edilizi fattibili e a norma di legge, onde evitare che l’organo di controllo e verifica ne attesti e ne comprovi l’illiceità.

Irrisorio rilevare che la proposta esposta non ha alcun “CONTRO”, se non la reale volontà di mantenere il disordine generale per poter rincorrere un ideale di società descritta e gestita da personaggi che tutto vogliono e pensano, fuorché l’interesse pubblico.

Pensiero e domanda mia: quanto argomentato sopra potrebbe essere una soluzione?

L'unica certezza è che tra poche ore ci lasciamo dietro il 2018, quindi auguro a tutti i forumisti
un FELICE (e proficuio) ANNO NUOVO!!

E come sempre: salute e fratellanza.

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Autore Risposta

SIMBA4

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28 Agosto 2015 alle ore 16:02

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 0 -  0 - Inviato: 30 Dicembre 2018 alle ore 19:10

Salve

La soluzione è la snellezza legislativa anche in ambito edilizio (del tipo americano), dove le autocertificazione sono accompagnate da chiarezza di leggi, e chi sgarra con dichiarazioni false viene sospeso dall'esercizio per un periodo relativamente lungo.

Quá in Italia, basta farsi un giro fra le sentenze, si vedono decisioni del tribunale anche in ambito edilizio che si smentiscono fra loro (semplicemente ridicolo).

Buone festività.

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totonno
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Firenze

 0 -  0 - Inviato: 31 Dicembre 2018 alle ore 10:45

La legge esiste, racchiusa nel testo unico, occorre rispettarla.



Di figure addette al controllo e verifica sul territorio ce ne sono fin troppe. È necessario solo che queste non siano ungibili e che vada in galera chi non rispetta le leggi prima che l'abuso sia completato.



Saluti

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rossa

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 0 -  0 - Inviato: 31 Dicembre 2018 alle ore 11:31

Buongiorno.

Concordo con totonno quando dice che di controlli e verifiche che ne sono già troppe.

Concordo con SIMBA4 quando dice che servono leggi chiarei che non consentano le interpretazioni fantasiose dei magistrati.

In merito alla proposta di amastria, "..... organo di controllo e verifica in fase esecutiva, a supporto esterno al tecnico responsabile del procedimento (pubblico)" mi domando come dovrebbe comportarsi il tecnico incaricato che riscontrasse l'illegittimità del provvedimento autorizzativo già formato !

E per le varianti ammissibili in corso d'opera la cui dichiarazione è consentita a fine lavori, come dovrebbe comportarsi in caso di disaccordo col responsabile ?

Ed i maggiori costi, che ricadrebbero comunque su un mercato già morente, contribuirebbero all'aumento del PIL ?

Aggiungere altra burocrazia (e costi) non indurrebbero un aumento dell'abusivismo totale ?

Saluti.



































voglierebbelo

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Notrami

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 0 -  0 - Inviato: 31 Dicembre 2018 alle ore 12:08

Il problema di fondo secondo il mio modesto parere è che, essendo l'italia un paese estremamente eterogeneo per storia, cultura ed economia, risulta praticamente impensabile applicare in maniera intransigente le leggi nazionali e pertanto il testo unico dell'edilizia.

Problema storico-culturale: da nord a sud vi è un abisso tra percentuale di abusi edilizi e tendenza ad eseguire opere totalmente o anche parzialmente abusive. Chi vive in un paese in cui l'80% delle costruzioni presenta abusi edilizi e ancora oggi spesso si continua a costruire in assenza di titolo o in difformità (con notevole risparmio di burocrazia e denaro), è ovvio che qualche problema prima di attivare la farraginosa e costosta macchina burocratica italiana, qualche dubbio se lo ponga!

Problema economico: analogo divario tra nord e sud per quanto riguarda le disponibilità economiche e tra grossi centri urbani e piccoli centri per quanto riguarda il valore immobiliare. Le pratiche burocratiche necessarie per costruire sono sostanzialmente analoghe (fatta eccezione per la sismica e poche altre). Siamo al punto che per costruire in un piccolo paese del sud italia in zona disagiata, il valore reale dell'immobile rischia di essere pari al costo per le pratiche burocratiche! Le alternative pertanto sono due: o "si prende alla leggera" la pratica burocratica per ammortizzare i costi, altrimenti si rinuncia direttamente a costruire...

La soluzione pertanto non è così semplice come la si vorrebbe far apparire.

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geoalfa

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 0 -  0 - Inviato: 06 Gennaio 2019 alle ore 10:03

Concordo, molto volentieri.

Però ricordo che la burocrazia inventata e sostenuta da una quantità aberrante di " verginelli incapaci e con paraocchi da cavallo" che, facendo da padrona, incentiva la disobbedienza civile, con il risultato che si percepisce ed analizzato da Notrami !

La soluzione è la semplifiazione burucratica e migliore indirizzo tecnico-progettuale possibile.

Cordialità

Gianni detto geoalfa

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totonno
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 0 -  0 - Inviato: 06 Gennaio 2019 alle ore 18:56

"Notrami" ha scritto:
Il problema di fondo secondo il mio modesto parere è che, essendo l'italia un paese estremamente eterogeneo per storia, cultura ed economia, risulta praticamente impensabile applicare in maniera intransigente le leggi nazionali e pertanto il testo unico dell'edilizia.

Problema storico-culturale: da nord a sud vi è un abisso tra percentuale di abusi edilizi e tendenza ad eseguire opere totalmente o anche parzialmente abusive. Chi vive in un paese in cui l'80% delle costruzioni presenta abusi edilizi e ancora oggi spesso si continua a costruire in assenza di titolo o in difformità (con notevole risparmio di burocrazia e denaro), è ovvio che qualche problema prima di attivare la farraginosa e costosta macchina burocratica italiana, qualche dubbio se lo ponga!

Problema economico: analogo divario tra nord e sud per quanto riguarda le disponibilità economiche e tra grossi centri urbani e piccoli centri per quanto riguarda il valore immobiliare. Le pratiche burocratiche necessarie per costruire sono sostanzialmente analoghe (fatta eccezione per la sismica e poche altre). Siamo al punto che per costruire in un piccolo paese del sud italia in zona disagiata, il valore reale dell'immobile rischia di essere pari al costo per le pratiche burocratiche! Le alternative pertanto sono due: o "si prende alla leggera" la pratica burocratica per ammortizzare i costi, altrimenti si rinuncia direttamente a costruire...

La soluzione pertanto non è così semplice come la si vorrebbe far apparire.



È intervenuto Geoalfa e non posso rimenere impassibile e indifferente sull'argomento.

Mah.

Il costo di costruzione non c'è ??? Quanto lavoro nero in una casa abusiva si può fare ? Parli di burocrazia, Notrami ma è solo una scusa.

Non inventiamo balle. Rispettiamo la legge e smettiamola di separare il nord con il sud e smettiamo pure di giustificare le marachelle che fanno al sud con il piangersi addosso sempre.



Saluti



Saluti

Saluti

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geoalfa

(GURU)

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 0 -  0 - Inviato: 07 Gennaio 2019 alle ore 09:48

Senza aver timore di incappare in una situazione di saccenza, come qualcuno fin troppo spesso fa, ( non so se visto il ploff del suo sito aperto con la speranza di combattere lo stragrande successo di gelive.org ) vorrei ricordare a chi è scordareccio che ci sono discussioni in merito e consiglio di consultare:


A proposito, consiglio di leggere e tenere in evidenza:

-- Istruzione XIX 01mar1949 Conservazione del Nuovo Catasto Fabbricati

-- Circolare AdT 2 2010 Attuazione DL 78 31mag2010 art 19 comma 14 - Prime indicazioni Circolare 02 09lug2010 36607[/size]

consiglio di leggere questo:

CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO Studio Esecuzioni Immobiliari n. 1-2011/E Vendita forzata e nuova normativa in materia di conformità dei dati catastali Approvato dal Gruppo di Studio sulle Esecuzioni Immobiliari e Attività Delegate l’11.03.2011 Lo studio in sintesi (Abstract) Il nuovo comma 1-bis dell’art. 29 della legge prescrive, a pena di nullità, che gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi (aventi un determinato oggetto) contengano l’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione resa in atto della loro conformità allo stato di fatto. Ci si chiede se tale disposizione sia o meno applicabile in caso di vendita forzata in sede esecutiva e se la soluzione, cui si pervenga, valga anche per altri diversi tipi di vendita “coatta” in ambito giudiziale: la vendita ex art. 788 c.p.c. nel giudizio divisionale e le vendite ex art. 107, primo o secondo comma, l. fall., in ambito fallimentare. Attraverso l’analisi testuale, la ratio legislativa (di natura tributaria) e la verifica del bilanciamento degli interessi in gioco che sembra essere stato esplicitamente effettuato dal legislatore (desumibile dai casi di espressa esclusione), si perviene a concludere che la disposizione non si applichi in tutti i casi di vendita “coattiva” attuata nell’ambito di un giudizio di giurisdizione contenziosa. Tale soluzione coincide con la lettura costituzionalmente orientata della norma. Infatti, secondo l’orientamento più recente della giurisprudenza costituzionale, la disposizione che persegua un interesse tributario estraneo al processo, non deve (pena la sua illegittimità costituzionale) impedire o ostacolare l’effettività della tutela in sede giurisdizionale. Come per la vendita forzata in sede di espropriazione individuale, anche nel caso di vendita fallimentare attuata dal Giudice Delegato ai sensi dell’art. 107, secondo comma, l. fall. e nel caso di vendita nel giudizio divisionale contenzioso, il decreto di trasferimento non rientra nella fattispecie disciplinata. L’interpretazione si presenta più delicata e richiede alcune puntualizzazioni nel caso di vendita attuata in ambito fallimentare, mediante c.d. procedure competitive ai sensi dell’art. 107, primo comma, l. fall., perfezionata con atto di trasferimento notarile. - 1. Il quesito - 2. L’espressione “atto pubblico” -3. La diversa formula che ha utilizzato il legislatore quando, in ambito catastale, ha voluto espressamente disciplinare tutti gli atti di trasferimento di diritti reali censiti in catasto – 4. La sedes materiae -5. L’interpretazione teleologica - 5.1 L’inclusione degli atti costitutivi, modificativi od estintivi dei diritti reali di servitù – 5.2 L’esclusione degli atti mortis causa 5.3 L’esclusione delle scritture private semplici – 6. La dichiarazione resa in atti dagli intestatari e l’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale – 7. L’interpretazione letterale basata sull’interpretazione della locuzione “atto tra vivi” e sulla nozione di “stipula” da parte del “notaio” – concatenazione tra primo e terzo periodo – 8.Il tipo di nullità prevista e il bilanciamento degli interessi pubblici in gioco compiuto dal legislatore – 9. L’espressa esclusione dalla nullità irrogata degli atti costitutivi di diritti reali di garanzia e le conseguenze sul piano processuale di tale esplicita esclusione (in virtù dell’art. 24 Cost.) - 10. Il caso di vendita forzata ex art. 569 e ss. c.p.c. (attuata a mezzo di decreto di trasferimento). Conclusioni – 11. I casi di vendita giudiziale di bene immobile per i quali il legislatore ha previsto un rinvio alla disciplina della esecuzione forzata individuale. Conclusioni - 12. Aspetti di rilievo pratico in ambito di vendita attuata ex art. 569 e ss. a mezzo di decreto di trasferimento - 13. Il caso di vendita di bene immobile in sede fallimentare tramite procedure competitive ex art. 107. I comma, l. fall.

Conclusioni

*** 1. Il quesito Con il Decreto Legge n. 78 del 31 maggio 2010 (1), successivamente convertito con modificazioni dalla Legge n. 122 del 30 luglio 2010 (2), è stato introdotto un nuovo comma all’art. 29 della Legge n. 52 del 27 febbraio 1985 (3) intitolata “Modifiche al libro sesto del codice civile e norme di servizio ipotecario, in riferimento all’introduzione di un sistema di elaborazione automatica nelle conservatorie dei registri immobiliari” (4) . Oggi, nel testo definitivamente approvato in sede di conversione, l’art. 29 rubricato “Necessità di indicazione dei confini dell’immobile di cui si chiede la trascrizione o la concessione dell’ipoteca” (5) dispone: “1. Negli atti con cui si concede l'ipoteca o di cui si chiede la trascrizione, l'immobile deve essere designato anche con l 'indicazione di almeno tre dei suoi confini. 1-bis. Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti , ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può' essere sostituita da un'attestazione di conformità' rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei 3 predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”. La nuova disciplina è già stata oggetto di commento sotto diversi profili (6), in questa sede si intende focalizzare l’attenzione sulla sua incidenza nell’ambito della vendita forzata immobiliare ai sensi degli articoli 569 c.p.c. e ss., ovvero: − se essa sia applicabile ai decreti di trasferimento pronunciati in esito ad espropriazioni forzate individuali, − nel caso in cui non lo sia, se possa, comunque, condizionarne lo svolgimento. Gli argomenti che supportano la risposta negativa al primo quesito (cioè sfavorevole all’applicabilità della disposizione alle vendite forzate in sede di espropriazione individuale) sono molteplici e si prestano ad essere utilizzati per saggiare l’applicabilità o meno della disposizione anche ad altre vendite effettuate in ambito giudiziale e per le quali la vendita forzata in sede esecutiva funge da modello di riferimento (7), ovvero: − la vendita del bene immobile in sede di divisione giudiziale ex art. 788 c.p.c., che rinvia alle disposizione del c.p.c. sull’espropriazione immobiliare (8) , − la vendita del bene immobile in sede fallimentare ex art. 107, secondo comma, l. fall., attuata dal Giudice Delegato “secondo le disposizioni del c.p.c. in quanto compatibili”, − la vendita del bene immobile, sempre in sede fallimentare, ma a seguito di esperimento di una c.d. “procedura competitiva” ex art. 107, primo comma, l. fall., secondo modalità che possono essere diverse da quelle rigidamente previste dal c.p.c. Come vedremo, di questi ulteriori tre tipi di vendita, solo il secondo presenta caratteristiche strutturali e funzionali molto simili a quelle della vendita forzata in sede espropriativa immobiliare. Mentre il primo e il terzo evidenziano tratti differenziali che non possono essere sottaciuti: − nella vendita in sede di giudizio divisionale, il sub procedimento di vendita, pur mantenendo le forme tipiche della vendita forzata, si colloca come strumentale ad un processo di divisione tra contitolari del bene e in funzione di una loro soddisfazione; − nella vendita fallimentare (per così dire) di ultima generazione, la procedura competitiva di vendita di cui all’art. 107, primo comma, l. fall., pur restando strumentale alla soddisfazione delle ragioni del credito, abbandona le forme tipiche della vendita forzata fino a potersi concludere con la stipula di un atto notarile di vendita. Per quanto riguarda il primo quesito, se la disposizione si applichi ai trasferimenti realizzati nell’ambito dell’esecuzione forzata individuale a mezzo di decreto di trasferimento, lo studio prenderà le mosse dall’interpretazione letterale della prima parte del comma 1-bis per valutare se 4 essa sia univoca, passerà poi -attraverso la c.d. interpretazione teleologica- a verificare quale sia stato (se vi sia stato) il bilanciamento legislativo dei vari interessi in gioco, per poi tornare ad un’interpretazione letterale della disposizione nel suo complesso, interpretazione che, tenendo conto anche dei principi di generale responsabilità patrimoniale del debitore e di tutela del diritto di credito (che lo stesso legislatore non ha ignorato), finirà per coincidere con una sua lettura costituzionalmente orientata. Quanto invece alla seconda questione, dell’incidenza pratica della disposizione sulla modalità di svolgimento delle vendite c.d. giudiziali, essa è occasione per fornire alcune indicazioni agli operatori del settore, in generale, e ai notai, in particolare, sia quando essi vengano delegati delle operazioni di vendita ex art. 591-bis c.p.c. che quando siano incaricati di altre “operazioni” nell’ambito delle vendite fallimentari (nei vari ruoli che il notaio può essere chiamato a rivestire nella nuova disciplina (9)). Ma procediamo con ordine, partendo dal dato letterale. 2. L’espressione “atto pubblico” La disposizione disciplina gli “atti pubblici” e le “scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti”, che devono contenere, a pena di nullità: − oltre all’identificazione catastale, − il riferimento alle planimetrie depositate in catasto, − e la dichiarazione, resa in atto dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale (10) . Per stare al primo quesito (11), visto che i decreti di trasferimento di cui intendiamo in prima battuta occuparci possono avere ad oggetto il trasferimento di diritti reali su fabbricati già esistenti, considerato che essi non rientrano certamente nella categoria delle “scritture private autenticate”, occorre chiedersi se essi possano ritenersi ricompresi negli “atti pubblici” di cui all’incipit del comma 1-bis. La definizione dell’atto pubblico è data nel nostro ordinamento dall’art. 2699 c.c. e attiene essenzialmente all’efficacia di prova privilegiata che l’ordinamento riconosce ai documenti redatti da un notaio o da altro P.U. autorizzato ad attribuirgli pubblica fede (ovvero nell’esercizio di una funzione e nei casi previsti dalla legge) (12). In questo senso, essa individua come elemento minimo, a cui riconoscere l’efficacia privilegiata fino a querela di falso, quello della paternità del documento (redatto da notaio o altro P.U. autorizzato) e, come elementi eventuali e ulteriori, a 5 seconda dei casi, le dichiarazioni delle parti e/o i fatti che il P.U. attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. Tale nozione, formulata nel codice civile (nell’ambito del titolo II del Capo I del libro VI, intitolato “Delle prove” (13)) da un legislatore che sembra avere avuto come riferimento principale l’atto negoziale notarile (14), è certamente idonea ad abbracciare sia atti giuridici di diritto privato a contenuto negoziale che atti a contenuto diverso (atti negoziali e non negoziali di diritto pubblico, atti, certificazioni e provvedimenti amministrativi, provvedimenti giudiziari (15)). Essa, però, non vincola l’interprete in quanto la formula “atto pubblico” viene disinvoltamente utilizzata dal legislatore -in accezioni più o meno ristrette- per indicare (anziché l’estesa categoria degli atti ad efficacia privilegiata) quelli dotati di una particolare forma nell’ambito di una (altrimenti predeterminata e qualificata) categoria di atti (16) . Basti pensare che, proprio in ambito di trascrizione, nello stesso VI libro del codice civile, la formula “atto pubblico” è spesso utilizzata per indicare la forma solenne dell’atto giuridico (in primis negoziale) da trascrivere, distinta tanto da quella della scrittura privata autenticata che da quella della “sentenza” (ovvero dal provvedimento finale tipico dell’attività giurisdizionale) (17) e che in innumerevoli altri casi il legislatore ha chiaramente dimostrato di usare l’espressione linguistica per indicare, ma solo nell’ambito degli atti negoziali di diritto privato, quelli dotati di particolari caratteristiche di forma (18) . 3. La diversa formula che ha utilizzato il legislatore quando, in ambito catastale, ha voluto espressamente disciplinare tutti gli atti di trasferimento di diritti reali censiti in catasto Sempre per rimanere all’esame del dato testuale e del linguaggio utilizzato dal legislatore rileviamo che, proprio in materia catastale, il D.P.R. n. 650 del 1972 “Perfezionamento e revisione del sistema catastale” (19), nel prevedere l’obbligo generalizzato (per coloro che siano tenuti alla registrazione degli atti) di richiedere le conseguenti volture catastali, ha espressamente parlato di “atti civili o giudiziari od amministrativi (20) che diano origine al trasferimento di diritti censiti nel catasto (21) … e, a proposito della dichiarazione di parte cedente che dimostri la cronistoria dei passaggi intermedi, quando essi non siano stati convalidati da atti legali, ha usato l’espressione “autenticata da chi provvede alla rogazione od emanazione o autenticazione” (22) , così come la copia del corrispondente tipo di frazionamento da unire alla domanda di voltura deve essere “dichiarata conforme da chi provvede alla rogazione od emanazione od autenticazione”. 6 In questo caso, il legislatore ha voluto assoggettare agli obblighi previsti in tema di voltura catastale tutti gli atti di trasferimento senza distinzione alcuna di autorità e di tipo e lo ha fatto utilizzando un linguaggio inequivoco. Vero è che la legislazione in tema di voltura catastale è improntata ad una tendenziale equiparazione tra i vari atti (23) a medesimo oggetto, ma vero anche che il legislatore, proprio perché consapevole delle profonde differenze che sussistono tra i loro vari tipi, quando ha voluto prevedere uno specifico adempimento valevole per ciascuno di essi, ha parimenti individuato con chiarezza i soggetti che ne fossero i destinatari. Tanto più in questo ambito, nel quale viene prevista una vera e propria invalidità del trasferimento, in assenza di un dato letterale inequivoco l’interprete deve desumere aliunde la reale portata ed estensione della fattispecie disciplinata. Da questo sintetico quadro risulta fin qui evidente che: − l’espressione “atto pubblico” è suscettibile di diverse interpretazioni, a seconda del contesto in cui viene usata, − sta all’interprete ricavare, di volta in volta, dai diversi indici a disposizione (ulteriori elementi letterali presenti nella disposizione, la sedes materiae dell’intervento legislativo, la ratio della disciplina) la reale portata dell’espressione utilizzata. 4. La sedes materiae Se si guarda all’articolo di legge su cui il legislatore è intervenuto (art. 29 della legge n. 52 del 1985), la sedes materiae sembra evidenziare una contraddizione di fondo: − da una parte, il legislatore è intervenuto nell’ambito di una disciplina (quella del servizio ipotecario) che riguarda tutti gli atti destinati alla trascrizione/iscrizione (24), senza distinzione rispetto alla loro natura di diritto privato o pubblico (25) ; − dall’altra, la disposizione, anziché limitarsi, nel rispetto della sede dell’intervento effettuato, a disciplinare il servizio ipotecario e le regole della trascrizione, ha espressamente previsto un caso di vera e propria nullità (26) degli atti oggetto di trascrizione, senza peraltro vietarne la trascrizione (non almeno espressamente) (27) . Da questo punto di vista il contesto normativo non aiuta a risolvere i dubbi che la disposizione solleva, perché la norma ha, quale che sia la sua interpretazione, una portata che certamente supera e per certi versi è estranea all’ambito nella quale è stata collocata. Da altro punto di vista, invece, se si guarda non alla singola norma su cui il legislatore (con il comma 14 dell’art. 19 del D.L. 78/2010) ha inciso, ma al complessivo intervento normativo nel cui 7 ambito la disposizione è inserita (l’intero articolo 19 del D.L. 78/2010), è possibile ricavare qualche stimolo in più per la riflessione, ed esattamente: 1. la ratio dell’intervento legislativo è di carattere tributario (la realizzazione dell’anagrafe tributaria integrata e la lotta all’evasione e all’elusione fiscale). L’interesse tutelato è quello della coerenza tra realtà di fatto e realtà dichiarate a fini fiscali (28), in un’ottica precisa di catalogazione di tutti i beni esistenti sul territorio e di attribuzione di un valore coerente agli stessi, in attuazione del precetto costituzionale di cui all’art. 53 Cost. (29) e della realizzazione del federalismo fiscale; 2. gli incombenti complessivamente previsti, per la realizzazione dei fini dichiarati gravano, innanzitutto, sui soggetti, individuati in alcuni passaggi come i “titolari di diritti reali sugli immobili” (30) (che non risultano dichiarati in Catasto o che sono stati oggetto di interventi che ne abbiano determinato una variazione di consistenza o di destinazione non dichiarata in Catasto), soggetti che sono tenuti, entro determinati termini, a denunciare o regolarizzare i beni in Catasto. In difetto di una loro spontanea attivazione è previsto che l’Agenzia del Territorio proceda all’accatastamento e ai controlli in collaborazione con i Comuni. Dal contesto dell’intervento è, quindi, possibile estrapolare l’idea che i primi destinatari della disposizione e delle prescrizioni in essa contenute siano i “privati”, cioè i “titolari dei diritti reali sui beni”, chiamati a collaborare con gli enti pubblici preposti, in considerazione dell’obbligo contributivo che su di essi grava. Su tale considerazione torneremo nel prosieguo dell’approfondimento. 5. L’interpretazione teleologica Secondo le dichiarazioni ufficiali (31) e i primi commenti divulgati, la disposizione persegue un doppio obiettivo: − da una parte, il miglioramento della qualità delle banche dati catastali e della pubblicità immobiliare sul piano della coerenza sostanziale e formale dei dati in esse contenuti (32), per garantire l’affidabilità delle informazioni che dovranno confluire nell’Anagrafe Immobiliare Integrata; − dall’altra, far emergere possibili fenomeni di elusione ed evasione fiscale connessi ad un mancato aggiornamento dei dati oggettivi delle unità immobiliari urbane. Ciò considerato, è chiaro che l’obiettivo della piena integrazione, a fini fiscali, delle banche dati dell’Agenzia del Territorio sarebbe più efficacemente perseguito se le prescrizioni previste a 8 pena di nullità riguardassero tutti gli atti pubblici (in senso lato), oltre che le scritture private autenticate, ma è anche vero che nella stessa previsione normativa è proprio l’Agenzia del Territorio (insieme ai Comuni) il soggetto pubblico, preposto ed adeguatamente attrezzato per compiere, a prescindere dalla spontanea attività dei privati, tutti i controlli necessari per realizzare gli obiettivi dichiarati. La scelta di onerare gli intestatari dei diritti reali sui beni (33) (che sono anche i soggetti passivi dell’obbligazione tributaria) di una regolarizzazione per così dire forzosa in occasione del compimento di determinati atti negoziali, magari proprio in considerazione della necessaria partecipazione, in quei casi, di un pubblico ufficiale qualificato come il notaio (34), non sarebbe da questo punto di vista contraddittoria con lo spirito e le finalità della complessiva disciplina, ne’ sarebbe la prima volta che il legislatore prevede una differenza di regime tra atti giudiziari e/o amministrativi e atti negoziali privati. Come dire che: − se tutti gli operatori del diritto possono sentirsi sollecitati alla realizzazione dell’obiettivo che il legislatore si è proposto; − sono i titolari dei diritti reali sui beni interessati che hanno l’obbligo legale di regolarizzare la situazione catastale dei beni e che, tenuti anche ai derivanti obblighi fiscali, non possono negoziare ovvero disporre con un proprio atto di volontà consapevole dei propri diritti senza averne prima regolarizzato la situazione catastale/fiscale (assumendosi la responsabilità di un’eventuale dichiarazione non veritiera) (35) ; − il notaio è individuato come il garante dell’applicazione del meccanismo legale previsto, non solo in considerazione della specifica competenza che gli è riconosciuta in materia catastale e della prestazione professionale di controllo della bontà della vendita che fornisce all’acquirente, ma anche in virtù della previsione dell’art. 28 della legge notarile che gli impone il controllo di legalità, a pena delle più gravi sanzioni disciplinari. Sempre restando all’indagine della ratio della disposizione, occorre domandarsi –per completezza- se sia possibile ricavare qualche utile elemento di riflessione in proposito dall’analisi delle fattispecie sicuramente incluse e di quelle sicuramente escluse dall’ambito di applicazione del nuovo comma 1-bis (tralasciando per il momento – per le ragioni che illustreremo più oltre – l’esclusione degli atti aventi ad oggetto diritti reali di garanzia). 5.1 L’inclusione degli atti costitutivi, modificativi od estintivi dei diritti reali di servitù 9 A differenza di quanto previsto nella normativa urbanistica di cui alla vecchia legge n. 47/85, oggi ripresa dal T.U. dell’edilizia D.P.R. n. 380/2001, l’art. 29 della legge n. 52 del 1985, non prevede l’esclusione dalla sua applicazione degli atti costitutivi, estintivi o modificativi dei diritti reali di servitù ( l’unica esclusione espressamente prevista è quella relativa agli atti costitutivi di diritti reali di garanzia). Il dato è stato immediatamente recepito fin dai primi commenti al D.L. 78 del 2010 (36) ed è perfettamente coerente sia con l’obiettivo dichiarato (di perseguire la massima corrispondenza tra conservatoria e catasto e di consentire una futura consultazione che fornisca tutte le informazioni utili sulla titolarità dei diritti reali degli immobili, oltre che sulla loro corretta consistenza e rendita (37)), sia con la sollecitazione rivolta ai titolari dei diritti reali su beni non regolarmente accatastati a procedere alla regolarizzazione, se non lo abbiano fatto prima, in occasione del primo atto dispositivo. 5.2 L’esclusione degli atti mortis causa La norma, invertendo l’ordine delle parole rispetto alla disciplina urbanistica (che recita: “atti tra vivi, in forma pubblica o privata”), parla di “atti pubblici e scritture private autenticate tra vivi”. Possiamo, in proposito, domandarci: − quale sia la ratio dell’esclusione degli atti mortis causa, − quali siano le conseguenze (se ve ne siano) e quale la ratio della diversa formulazione e del diverso ordine delle parole in questa disposizione rispetto a quella utilizzata dal legislatore in ambito urbanistico. Quanto alla ratio dell’esclusione degli atti mortis causa: − una prima ragione riposa nella considerazione che le disposizioni mortis causa possono essere generiche ed universali, senza specifica dei singoli beni di cui si disponga, − una seconda ragione, coerente con la ratio dichiarata dell’intervento legislativo, risiede nel fatto che la nullità dell’atto di disposizione mortis causa sarebbe resa pubblica e rilevabile, a seguito della trascrizione dell’acquisto, in un momento in cui il disponente, ormai venuto a mancare, non potrebbe più ripetere validamente l’atto e la sanzione, quindi (al di là della valutazione di una sua ragionevolezza nel bilanciamento degli interessi in gioco) andrebbe a colpire esclusivamente soggetti diversi da quelli che la disposizione e la correlata sanzione intendono sollecitare. 10 Da questa implicita esclusione emerge, ancora una volta, il carattere fiscale di una disposizione che è rivolta in primis ai titolari dei diritti reali su determinati beni immobili, tenuti ad alcuni adempimenti catastali in attuazione di un proprio obbligo contributivo. Quanto all’ordine delle parole, diverso da quello utilizzato in ambito urbanistico, esso corrisponde ad una diversa estensione della prescrizione e della nullità in essa comminata: qui destinata a colpire solo gli atti tra vivi dotati di particolari caratteristiche formali, là (nella legislazione urbanistica) destinata a valere per tutti gli atti negoziali tra vivi, anche quando in forma di scrittura privata semplice. Si tratta di un ulteriore elemento, che si aggiunge a quelli fin qui colti, da cui trarre un ulteriore argomento interpretativo. 5.3 L’esclusione delle scritture private semplici Che il legislatore abbia escluso dal campo di applicazione della norma e della nullità ivi prescritta le scritture private semplici è stato da più parti rilevato e non sembra in discussione (38) . La ratio di tale ulteriore esclusione ci pare possa fornire un ulteriore determinante argomento a favore di quella che noi riteniamo essere la corretta interpretazione della norma e che progressivamente viene ad evidenziarsi. Le scritture private semplici sono escluse dalla sanzione di nullità perché la norma ha come destinatario (39) , oltre che la parte disponente (gli intestatari), quel P.U. qualificato che è il notaio, a cui le parti non possono non rivolgersi per formalizzare le loro disposizioni negoziali e assoggettarle alla disciplina della pubblicità immobiliare (trascrizione e voltura catastale (40)). Il notaio, nel controllo di legalità dell’atto che gli è proprio, provvederà alle indicazioni e ai riferimenti prescritti oltre che a “sollecitare” il titolare del diritto reale (intestatario) alla dichiarazione richiesta. In difetto non potrà autenticare o ricevere l’atto. Non è un caso che gli atti tra vivi, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, aventi l’oggetto previsto dalla norma siano tutti destinati ad essere trascritti ed è obbligo del notaio chiamato ad esercitare il suo ministero provvedervi (41) . Arrivati a questo punto dell’indagine, prima di passare a verificare quale sia il bilanciamento degli interessi in gioco che il legislatore abbia inteso effettuare (se ve ne sia stata consapevolezza) o che, in difetto, l’interprete sia chiamato ad operare, è necessario soffermarsi sul significato di quell’inserimento tra il primo e il terzo periodo del comma 1-bis (in occasione della conversione in legge) con il quale si è previsto che la dichiarazione della conformità, resa in atti dagli intestatari, 11 possa essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. La previsione potrebbe apparire argomento di supporto alla tesi che vuole ricompresi nella disposizione anche tutti gli atti giudiziari con l’oggetto indicato, ma, ad un’analisi più attenta, risulta essere stata dettata da esigenze di tipo pratico che nulla hanno a che vedere con l’estensione della fattispecie prevista. 6. La dichiarazione resa in atti dagli intestatari e l’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale In occasione della conversione in legge del D.L. 78 del 2010 è stato inserito un nuovo periodo (tra i due originari del comma 1-bis), dal seguente tenore: “La predetta dichiarazione può' essere sostituita da un'attestazione di conformità' rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale.” Si tratta della dichiarazione di conformità dello stato di fatto alle planimetrie e all’identificazione catastale, che dovrebbero rendere gli intestatari in sede di atto. Prima di questo inserimento, l’impossibilità o la difficoltà di pretendere la dichiarazione de quo nel caso di atti giudiziari o amministrativi poteva essere ulteriore argomento a sostegno delle conclusioni cui si è fin qui pervenuti (42) . Oggi, alla luce della nuova alternativa consentita dal legislatore, ci si deve chiedere se essa possa rappresentare l’argomento decisivo favorevole alla tesi che vede la disposizione applicabile a tutti i provvedimenti anche di diritto pubblico, aventi l’oggetto previsto. Alla luce del dibattito che ha accompagnato l’emendamento, ci pare poter sostenere che l’intervento del legislatore sia stato dettato dalla volontà di dare una soluzione pratica alle difficoltà suscitate dal testo originario e da più parti segnalate. Fin dai primi commenti, infatti, era stato osservato che: − l’indicazione degli “intestatari” (43), in luogo del più generico “parte disponente” o “alienante” o “cedente” sembrasse fare riferimento ai soli intestatari catastali, pur intesi come coloro che dovessero risultare titolari dei beni a seguito del preallineamento notarile di cui all’ultimo periodo e che la disposizione non sembrava tenere conto del fatto che vi sono fattispecie tipiche civilistiche in cui il disponente non coincide con colui che risulta intestatario (vendita di bene altrui, vendita da parte di chi ha acquisito per usucapione, anche il caso di cambio di denominazione della società disponente) (44) ; 12 − il concetto di “conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie” (successivamente meglio circoscritto dal “sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale” anch’esso introdotto in sede di conversione) può risultare, in alcuni casi, di non immediata e facile percezione per i soggetti chiamati a compiere la dichiarazione, presupponendo la conoscenza delle disposizioni catastali (non sempre di facile interpretazione) secondo cui viene determinata la rendita (45) . L’introduzione di questa dichiarazione alternativa (rispetto a quella resa in atti dagli “intestatari”) sembra, così, aver voluto risolvere tutti i potenziali problemi circa la corretta individuazione dei soggetti onerati della dichiarazione e circa il corretto concetto di corrispondenza o conformità in tutte le ipotesi che avessero presentato qualche criticità. Non è la prima volta che in ambito catastale la responsabilità dell’intestatario del bene è affiancata a quella di un tecnico qualificato, proprio in considerazione del tecnicismo della materia e delle competenze specifiche che essa presuppone (46) . Inoltre, dal punto di vista della formulazione del testo, se veramente il legislatore avesse voluto consapevolmente dare soluzione a tutti i casi in cui si fosse reso necessario surrogare l’intestatario nel rilascio della dichiarazione (ovvero in tesi anche ai casi di provvedimenti giudiziari aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali su fabbricati censiti in catasto), non si spiegherebbe: − perché, in sede di emendamento, non si sia anche eliminato quell’ingombrante ( e determinante ai nostri fini) “predetti atti” di cui al periodo successivo, − perché l’onere della verifica dell’allineamento soggettivo non sia stato esteso al predetto tecnico qualificato, − perché, insomma, l’intervento del tecnico non sia stato collocato con formulazione univoca, ad evitare qualsiasi dubbio, in alinea di chiusura come soluzione alternativa a tutte le possibili criticità. L’impressione è, dunque, che il legislatore abbia voluto approntare uno strumento facilmente fruibile per risolvere le eventuali difficoltà pratiche (e sollevate in prima battuta all’originario provvedimento), senza intendere modificare (o anche solo chiarire) l’estensione oggettiva e/o soggettiva della disposizione. Vero che la previsione introdotta può tornare utile a chi ritenga di estendere le nuove prescrizioni anche ai provvedimenti di diritto pubblico aventi l’oggetto previsto dalla norma, ma vero anche che, alla luce delle considerazioni fin qui fatte (e di quelle che seguiranno), l’argomento, non ci pare possa essere considerato decisivo in tal senso. 13 A chi segnala l’opportunità che ogni occasione di trascrizione e voltura, nell’ottica del perseguimento dell’obiettivo dichiarato dal legislatore, sia occasione di controllo e sistemazione dei dati contenuti nella futura anagrafe tributaria, facciamo notare che la questione dell’applicabilità della norma va chiarita in termini di necessità e non di opportunità di applicazione del suo disposto. Nessuno mette in dubbio che il giudice, se lo ritenga opportuno, possa sempre incaricare un CTU per le verifiche del caso, esercitando i poteri di direzione del giudizio che gli sono propri (e sul punto torneremo), ma quello che, in questa sede, rileva stabilire è se i provvedimenti giudiziari siano o no disciplinati dal nuovo comma 1-bis e, quindi, se il difetto di quanto previsto determini o meno un loro vizio di nullità. Alla luce di quanto fin qui detto, in considerazione della finalità perseguita dal legislatore, come espressamente dichiarata e come desumibile dalla lettura della prima parte della disposizione, nonché della comparazione con altre disposizioni che utilizzano formule analoghe, siamo ora pronti per esaminare alcuni dati letterali utilizzati nella seconda parte del comma 1-bis. 7. L’interpretazione letterale basata sull’interpretazione della locuzione “atto tra vivi” e sulla nozione di “stipula” da parte del “notaio” – concatenazione tra primo e terzo periodo Nella seconda parte della disposizione sono presenti due ulteriori elementi testuali, a nostro avviso, decisivi per la corretta interpretazione della norma. Si tratta dell’espressione “tra vivi” inserita dopo “e le scritture private autenticate” e dell’apertura del terzo periodo “Prima della stipula dei predetti atti il notaio.” Quanto alla locuzione “atti tra vivi”, nella definizione di un qualsiasi dizionario giuridico si può leggere che “ atti inter vivos (tra vivi) sono tutti gli atti destinati ad avere effetto durante la vita del soggetto che li ha posti in essere” (47) o che “la locuzione si accompagna al termine negozio, per indicare quegli atti che acquistano efficacia mentre le parti sono in vita” (48) e che “essi si contrappongono ai c.d. negozi mortis causa”. Nella legge notarile, ovviamente, la distinzione riguarda, nell’ambito degli atti negoziali, la differenza di causa della disposizione (49) . Nella legislazione e nella giurisprudenza tavolare gli “atti tra vivi” di cui all’art. 2 R.D. n. 499/1929 (50), sono contrapposti per disciplina sia agli “atti mortis causa” che a quelli di natura giudiziale (come il decreto di trasferimento nell’espropriazione forzata (51)) che agli acquisti a titolo originario (52) . 14 Nel codice di procedura civile, l’art. 111 contrappone il trasferimento per atto tra vivi a quello mortis causa, ma senza darne una definizione esatta. Nel codice civile, infine, a proposito della trascrizione, gli articoli 2659 e 2660 c.c. sembrano contrapporre gli atti tra vivi a quelli mortis causa ricomprendendo nei primi anche le sentenze (53) . Da una rapida analisi del linguaggio legislativo e giurisprudenziale emerge che se è vero che la distinzione tra atti inter vivos e mortis causa attiene in origine tutta al diritto privato ed è stata elaborata per distinguere in base alla causa (successoria o meno) i negozi giuridici, è anche vero che la locuzione viene talvolta usata solo per individuare una categoria di atti da cui espungere gli atti negoziali mortis causa, finendo –così- per ricomprendervi in modo indifferenziato anche atti di natura non negoziale (cioè non frutto dell’autonomia della volontà delle parti) (54) . L’espressione che di per sé sola non è univoca (come del resto la formula “atto pubblico”), alla luce di quanto stiamo per evidenziare, cioè del rapporto tra primo e terzo periodo del comma 1-bis, risulta in questo caso specifico essere stata utilizzata nel suo significato tradizionale di “atto negoziale”. Ne è conferma quell’ulteriore dato testuale, che ora andiamo a considerare e che, a nostro giudizio, chiude (55) il cerchio di tutte le osservazioni fin qui compiute, ricostruendo il disegno del legislatore in una logica coerente e ragionevole che vede coinvolti nel perseguimento della finalità dichiarata (la realizzazione dell’Anagrafe Tributaria Integrata e l’emersione di fenomeni di evasione ed elusione): − da una parte i privati (i c.d. titolari dei diritti reali di cui ai comma 11 e 12 ; gli intestatari catastali di cui al comma 14), − dall’altra l’Agenzia del Territorio in collaborazione con i Comuni, e tra i due, in virtù degli specifici compiti e della diligenza che gli è propria, − il pubblico ufficiale richiesto di ricevere o autenticare l’atto. Si tratta dell’espressione “Prima della stipula dei predetti atti il notaio…” con cui si apre il terzo ed ultimo periodo del comma 1bis (originariamente posta di seguito alla norma imperativa che commina la nullità degli atti), oggi di fatto posizionata dopo un nuovo periodo -inserito in sede di conversione (su cui nel proseguo)- ma che logicamente resta concatenata con il primo. Il dato letterale è stringente e parla di “stipula” da parte del “notaio” dei “predetti atti”, ovvero di quelli (gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi) di cui si è trattato nel medesimo comma e non di parte di essi come sarebbe stato facile ricavare se si fosse detto “nel caso di atti ricevuti o autenticati da notaio”. 15 I “predetti” atti non possono che essere esattamente quelli “stipulati” dalle parti con la collaborazione del notaio (ecco che l’alinea del comma fornisce la chiave di lettura negoziale (56) dell’espressione “tra vivi”). Il periodo non costituisce un comma a sé perché interpreta ciò che precede e lo completa (57) . La sua lettura, come inscindibilmente legato a quanto previsto nelle frasi che lo precedono, spiega d’un tratto: − il perché le scritture private semplici siano state escluse; − il perché sia stata comminata la previsione della sanzione della nullità (civilistica) anzichè quella della non trascrivibilità. Il notaio nel controllo della legalità dell’atto, stretto dalla diligenza che gli è propria, provvederà a controllare i contenuti previsti e ad informare le parti della loro funzione. Non è la prima volta che il notaio è utilizzato come garante dell’applicazione di una disciplina (58) . D’altronde se così non fosse, se cioè la norma fosse stata rivolta a qualsiasi atto pubblico anche giudiziale (una sentenza o un decreto di trasferimento) non si capirebbe perché il legislatore, dopo aver comminato la nullità dell’atto, abbia limitato il successivo adempimento della verifica della conformità dell’intestazione catastale alle risultanze dei registri immobiliari al solo caso dell’atto notarile. Ben avrebbe potuto disporre, con la stessa tecnica usata a proposito degli obblighi di voltura catastale, che tale adempimento gravasse tutti i pubblici ufficiali interessati. La più plausibile spiegazione di tale formulazione sta nel fatto che la sanzione della nullità prevista sia quella della nullità civilistica, rilevabile da chiunque abbia interesse, anche d’ufficio, imprescrittibile, idonea ad esporre il notaio alla disciplina del rigido art. 28 della legge notarile oltre che a responsabilità professionale. Questo sembra essere anche l’orientamento implicito nel linguaggio esemplificativo della stessa Agenzia del Territorio, laddove – nell’introdurre il profilo oggettivo della coerenza catastale richiesta dalla norma- si riferisce espressamente agli adempimenti da porre in essere “in sede di stipula di atti pubblici e di scritture private autenticate tra vivi” (59) . Lo stesso notariato ha già rilevato come il momento dell’atto notarile, nella prospettiva dell’emersione della reale consistenza del bene, costituisca un momento per così dire “complementare” rispetto all’attività a regime riservata all’Agenzia (60) . 16 L’analisi testuale fin qui compiuta, alla luce della ratio legislativa, fornisce –quindi- un primo apparato di argomenti all’interprete per escludere dall’ambito di applicazione della norma tutti i trasferimenti, le costituzioni e gli scioglimenti di comunioni di cui alla previsione del comma 1-bis attuati al di fuori dello schema dell’atto giuridico notarile. Passando ora all’esame della sanzione comminata, giungiamo a riflettere sul significato di quell’inciso “a pena di nullità” che ha fatto fin da subito discutere i primi commentatori e che rappresenta il fulcro della disposizione. L’intenzione è quella di verificare quale bilanciamento degli interessi in gioco il legislatore abbia consapevolmente compiuto nel prescrivere la più grave delle invalidità all’atto compiuto in violazione della disposizione e se vi sia spazio per un’eventuale interpretazione correttiva alla luce degli orientamenti di giurisprudenza costituzionale sul corretto esercizio da parte del legislatore della propria discrezionalità. 8. Il tipo di nullità prevista e il bilanciamento degli interessi pubblici in gioco compiuto dal legislatore Se è vero che la nullità: − tra le varie forme di invalidità, si caratterizza per la tipicità e tassatività dei casi; − deve essere prevista dalla legge (61) e le norme che la dispongono non possono essere applicate in via analogica, − presuppone, per definizione, la valutazione da parte del legislatore dei diversi interessi coinvolti e la prevalenza di uno di essi sugli altri, è altrettanto indiscutibile che il bilanciamento degli interessi in gioco, di volta in volta, rimesso al legislatore ordinario deve essere effettuato secondo parametri di ragionevolezza e nel corretto bilanciamento degli eventuali diversi valori costituzionali che venissero in gioco (62) . In questo caso è estremamente utile ai fini della nostra indagine domandarsi quale bilanciamento degli interessi coinvolti abbia effettivamente compiuto il legislatore. Ammesso che si sia inteso dare preferenza all’interesse tributario rispetto al generale principio di autonomia negoziale e che tale scelta sia il risultato di un corretto esercizio della discrezionalità (63) del legislatore, quali sarebbero gli indici positivi che suggeriscono all’interprete una lettura della disposizione estesa anche ai provvedimenti giudiziari e alle vendite giudiziali in particolare (64)? Da quali elementi è possibile all’interprete ricavare la volontà del legislatore di perseguire l’interesse tributario anche in pregiudizio di altri interessi di ordine generale, alcuni dei quali di 17 valore costituzionale (65), quali la ragionevole durata del processo, l’effettività della tutela giurisdizionale, il principio di economia processuale, il principio di buon amministrazione, il generale principio di tutela del legittimo affidamento del privato rispetto all’azione dei pubblici poteri, il principio di proporzionalità e ragionevolezza che anche il legislatore deve rispettare nell’esercizio della sua funzione? Sarebbe costituzionalmente legittima la subordinazione all’interesse tributario di altri interessi di rango costituzionale coinvolti nell’esercizio della funzione giurisdizionale? Con quali limiti? Ne’ il dato testuale, come già evidenziato, ne’ i lavori preparatori, ne’ l’impianto dell’intervento normativo nel suo complesso forniscono elementi di supporto alla tesi secondo cui il legislatore avrebbe inteso perseguire l’interesse tributario a scapito di tutti gli altri interessi di rango pubblico (e anche costituzionale) eventualmente coinvolti da una interpretazione (della fattispecie disciplinata) estesa a ricomprendervi anche i provvedimenti giudiziali. Al contrario, la disposizione di cui al comma 1-bis, di indiscutibile carattere tributario, se ritenuta applicabile anche ai procedimenti/provvedimenti giudiziari, potrebbe condurre a risultati irragionevoli quando anche non in violazione dell’art. 24 Cost. (66) . L’estensione indiscriminata della norma a tutti gli atti pubblici in senso lato sarebbe sicura fonte di ulteriore contenzioso, tanto più grave nel caso del provvedimento giudiziario che, a differenza del negozio consensuale tra privati, non conosce il concetto di “ripetizione dell’atto nullo”. Invero, anche per gli atti giudiziari l’onere della corretta individuazione del bene sussiste già e dipende proprio dalla disciplina della trascrizione dell’atto (67), anche per gli atti giudiziari possono sussistere motivi di opportunità per verificare la sussistenza delle planimetrie e la conformità delle stesse allo stato di fatto dei beni posti in vendita ( e su questo torneremo nel prosieguo), ma altro è affermare l’introduzione di un nuovo vizio di nullità che, senza realizzare alcuna parificazione tra i vari atti giuridici con il medesimo oggetto (in quanto il regime della nullità è totalmente diverso nei vari casi), finisce per pregiudicare altri interessi di pari o superiore grado fino a realizzare, in alcuni casi, dei veri paradossi (68) . L’interpretazione qui suggerita, invece, (secondo cui la disposizione -coerentemente con il suo tenore letterale- si applica solo agli atti negoziali posti in essere, con particolari requisiti di forma, dai titolari di determinati diritti reali sui beni che ne sono oggetto e secondo cui il legislatore si è limitato a comprimere solo l’autonomia negoziale dei privati sul piano del diritto sostanziale senza pregiudizio alcuno degli altri principi di rango costituzionale che regolano 18 l’esercizio della funzione giurisdizionale), tale interpretazione risulta, peraltro, indirettamente confermata da quell’espressa esclusione dal novero degli atti nulli di quelli costitutivi di diritti reali di garanzia. Come dire che, nello stesso ambito negoziale oggetto diretto della disciplina, l’interesse generale alla tutela del credito (di ordine pubblico, ma non costituzionale!) è stato considerato prevalente e non subordinato a quello tributario direttamente perseguito. La lettura coerente e ragionevole della disposizione sembra, dunque, presupporre: − dei soggetti tenuti fiscalmente a degli adempimenti di ordine tributario, altrove previsti, in virtù dell’intestazione di un certo tipo di beni (indice di capacità contributiva); − la violazione da parte loro di una disposizione di carattere tributario finalizzata alla corretta realizzazione dell’anagrafe tributaria integrata e a responsabilizzarli rispetto agli adempimenti catastali e fiscali che spettino loro; − un atto giuridico negoziale avente un determinato oggetto e caratterizzato da particolari requisiti di forma (in quanto destinato alla trascrizione e voltura); − la presenza di un pubblico ufficiale qualificato che possa sollecitare la consapevolezza di questa situazione; − un bilanciamento degli interessi in gioco –insomma- che eleva a norma imperativa (idonea a comprimere la libertà negoziale dei privati) la disposizione a tutela dell’interesse tributario dello Stato, ma con delle limitazioni nello stesso ambito negoziale privatistico disciplinato. Tale interpretazione restrittiva, oltre che rispondere a corretti canoni di ermeneutica (69) è perfettamente conforme a quell’orientamento di giurisprudenza costituzionale che vede nell’art. 24 Cost. (per quel che a noi interessa) un limite insuperabile alla discrezionalità del legislatore ordinario (70) . Secondo tale orientamento, infatti: − il legislatore nella sua discrezionalità può stabilire che l’interesse tributario prevalga sul principio di autonomia negoziale, anche prevedendo nullità di diritto sostanziale (71) ; − il legislatore non può nel perseguimento di un interesse tributario (estraneo alla funzione processuale) ostacolare o pregiudicare il diritto all’effettività della tutela giurisdizionale garantito dall’art. 24 Cost. rispetto a diritti già perfetti e riconosciuti dal diritto sostanziale (72) ; − la norma fiscale che ostacola o impedisce l’effettività della tutela giudiziale di un diritto già riconosciuto sul piano sostanziale è costituzionalmente illegittima. 19 In assenza, dunque, di espressi indici di una preferenza accordata dal legislatore ordinario all’interesse tributario rispetto a tutti quelli che risulterebbero violati o pregiudicati da un’estensione indiscriminata della disposizione (e della nullità in essa irrogata) a qualunque provvedimento di vendita giudiziale, in assenza di una volontà univoca in tal senso e in presenza di indici che suggeriscono trattarsi di una nullità di stampo civilistico limitata agli atti giuridici negoziali di determinati soggetti, ci pare obbligata l’interpretazione restrittiva che limiti il vizio della nullità al diritto sostanziale e che escluda dall’ambito di applicazione della norma i provvedimenti giudiziari di vendita. 9. L’espressa esclusione dalla nullità irrogata degli atti costitutivi di diritti reali di garanzia e le conseguenze sul piano processuale di tale esplicita esclusione (in virtù dell’art. 24 Cost.) Per quanto riguarda l’esercizio dell’azione giurisdizionale esecutiva per l’attuazione coattiva del diritto di credito, che si esprime fisiologicamente nella vendita giudiziale forzata, l’interpretazione fin qui proposta (e, a nostro avviso, già sufficientemente argomentata), è ulteriormente avvalorata e confermata, se ancora ve ne fosse bisogno, dalle peculiarità dell’azione giurisdizionale esercitata. L’azione esecutiva espropriativa è esercitata fisiologicamente e per definizione da un soggetto terzo (rispetto all’intestatario del bene) che chiede l’attuazione coattiva di un suo diritto perfetto sul piano sostanziale. L’onere tributario a carico del soggetto esecutato, alla luce del citato orientamento costituzionale, non può paralizzare o ostacolare l’azione esecutiva perché estraneo rispetto alla funzione processuale attivata (risolvendosi in una violazione dell’art. 24 Cost.). In tale ottica l’espressa esclusione dal novero degli atti nulli degli atti negoziali costitutivi di ipoteca, espressione del particolare favore del legislatore verso il settore creditizio (73), conferma quanto fin qui detto e sgombra il campo dai dubbi che erano stati sollevati all’indomani della pubblicazione della norma nella sua originaria formulazione. Se il legislatore ha espressamente riconosciuto un diritto soggettivo perfetto sul piano sostanziale (74) (in questo caso addirittura in deroga al diverso bilanciamento degli interessi effettuato per tutti gli altri atti negoziali ivi disciplinati), manifestando una preferenza per la tutela del diritto di credito rispetto a quella dell’interesse tributario cui la complessiva disposizione è preordinata, considerato – tra l’altro- che l’ipoteca per definizione e sua connotazione essenziale (art. 2808 c.c.) attribuisce al creditore il diritto di espropriare i beni vincolati a garanzia del suo credito e di essere soddisfatto con preferenza sul ricavato dell’espropriazione, non si vede come 20 l’effettività della tutela giurisdizionale cui il diritto di ipoteca è intrinsecamente funzionale possa poi trovare ostacolo in sede processuale esecutiva in virtù del medesimo interesse tributario già espressamente derogato sul piano sostanziale. Il dato è di particolare rilievo ed è stato affrontato solo in chiusura in quanto, a nostro sommesso avviso: − da una parte si aggiunge a quelli fin qui rilevati per confermare la lettura data e già raggiunta per altra via relativamente a tutti i provvedimenti giudiziari di vendita in esito a procedimenti contenziosi in genere; − dall’altra può fornire un argomento pregnante e determinante (su cui in prosieguo) per quanto riguarda il caso particolare della vendita effettuata in sede fallimentare a mezzo di stipula notarile anziché a mezzo di provvedimento giudiziario (decreto di trasferimento). 10. Il caso di vendita forzata ex art. 569 e ss. c.p.c. (attuata a mezzo di decreto di trasferimento). Conclusioni Siamo, finalmente, giunti a poter trarre le prime conclusioni per quanto riguarda le vendite di cui agli artt. 569 e ss. c.p.c. La disposizione non si applica mai ai decreti di trasferimento (in esito a procedure esecutive individuali) in virtù di tutta una serie di argomenti già sviluppati e consequenziali che possono essere così sintetizzati: 1. il dato testuale, in particolare le espressioni “atti … tra vivi” e “prima della stipula dei predetti atti il notaio … ”, 2. l’interpretazione teleologica, ovvero la finalità tributaria della disposizione, 3. la consequenziale individuazione dei suoi primi destinatari negli intestatari dei beni e della fattispecie disciplinata negli atti negoziali (con particolari requisiti di forma) con i quali essi intendano disporre dei medesimi beni, 4. la qualifica della sanzione comminata come nullità civilistica, circoscritta al solo ambito negoziale e desunta dal bilanciamento degli interessi contrapposti che il legislatore ha inteso attuare e che l’espressa esclusione dei diritti reali di garanzia conferma (in considerazione della preferenza accordata dal legislatore ad un interesse pubblico, ma non di rango costituzionale, quale quello di tutela del diritto di credito rispetto allo stesso interesse tributario perseguito); 5. quel consolidato orientamento che emerge da una certa giurisprudenza costituzionale secondo cui l’esercizio in giudizio di un diritto sostanziale perfetto non potrebbe, comunque 21 mai, trovare ostacoli in una disciplina fiscale che persegua scopi estranei al giudizio medesimo a pena di una sua incostituzionalità per violazione dell’art. 24 Cost. 11. I casi di vendita giudiziale di bene immobile per i quali il legislatore ha previsto un rinvio alla disciplina della esecuzione forzata individuale. Conclusioni Quanto poi alle altre due vendite giudiziali, attuate (in ambiti processuali diversi), mediante esplicito rinvio alle disposizione del c.p.c. di cui agli artt. 569 e ss. c.p.c., ovvero: − la vendita del bene immobile in sede fallimentare, ex art. 107, secondo comma, l. fall., − la vendita del bene immobile in sede divisionale, ex art. 788 c.p.c., occorre, a questo punto, domandarsi se gli argomenti sopra esposti possano dispiegare la propria efficacia persuasiva anche rispetto ad esse. Per quanto riguarda la vendita attuata in sede fallimentare, ma con rinvio alle forme dell’esecuzione individuale, nessun dubbio. Si ripropongono identiche la struttura e la funzione del sub procedimento di vendita e del suo atto finale (decreto di trasferimento) e si ripropone analoga la funzione del procedimento giudiziale principale (cui il sub procedimento di vendita afferisce) di attuazione coattiva dei crediti insoddisfatti, secondo principi concorsuali (con l’ulteriore peculiarità della presenza –di fatto fisiologica- di creditori ipotecari da soddisfare con preferenza). Le circostanze si presentano, invece, sensibilmente diverse nella vendita giudiziale in sede divisionale (75) che, pur avvalendosi della struttura (espressamente richiamata) del sub procedimento di vendita esecutiva, è, in questo caso, finalizzata e strumentale all’attuazione del diritto (allo scioglimento della comunione) del condividente che agisce in giudizio. Le ragioni del credito (e del credito ipotecario in particolare) restano sullo sfondo o possono del tutto mancare, visto che l’iniziativa processuale nasce da uno o più tra gli stessi contitolari del bene. Colui che agisce in giudizio è anche intestatario del bene e, quindi, destinatario delle disposizioni fiscali che prevedono obblighi e sanzioni. Gli altri condividenti possono assumere atteggiamenti variegati nei confronti della richiesta dell’attore che vanno dalla vera e propria contestazione (della contitolarità di un diritto reale, dell’estensione della quota, della sussistenza di un diritto allo scioglimento della comunione, della necessità della vendita, ecc.), alla contumacia (mancata costituzione in giudizio), alla non contestazione, al vero e proprio accordo processuale. 22 L’interpretazione può, quindi, risultare condizionata dalla diversa struttura che il giudizio divisionale o le sue singole fasi sembrano assumere a seconda del contegno processuale delle parti e dello sviluppo del giudizio (76) . Rispetto a quanto osservato per le vendite esecutive individuali, vengono meno gli argomenti che si rifanno: − alla tutela del diritto di credito (77) , − alla fisiologica non coincidenza tra soggetto intestatario del bene e soggetto che aziona la tutela del proprio diritto (78) , − alla circostanza che, mentre nel caso di esecuzione forzata un’eventuale nullità della vendita gioverebbe all’intestatario dei beni (inadempiente sul piano fiscale oltre che civile), anziché sanzionarlo, nel caso di vendita in sede divisionale gli intestatari (anche quando contrari alla vendita) si giovano direttamente della liquidazione del bene in sede di riparto (79) . Nella vendita in sede giudiziale, solo alcuni degli argomenti sopra evidenziati restano utilizzabili e questo spiega l’utilità dello sforzo compiuto nel presente approfondimento nell’analisi del dato letterale e nell’esame del contemperamento degli interessi pubblici in gioco. Tali argomenti, che ben avrebbero potuto essere in parte tralasciati, quanto alle vendite in sede esecutiva in virtù degli ulteriori persuasivi argomenti (da ultimi esaminati) fondati sulla specifica tutela del diritto di/al credito (80) e sulla necessaria prevalenza del diritto all’effettività della tutela giudiziaria (81) rispetto all’interesse fiscale/tributario, riaffiorano nella loro importanza in questo caso. Essi ci inducono a propendere per la disapplicazione della disposizione anche nel caso di vendita ex art. 788 c.p.c., come in tutti i casi di vendita giudiziale coattiva attuata nell’ambito di un giudizio contenzioso, e sono: 1. il dato testuale (il riferimento agli “atti pubblici” e alle “scritture private autenticate” tra vivi e la formulazione “prima della stipula dei predetti atti il notaio”), coordinato alla ratio e alla natura tributaria della disposizione, che, come abbiamo tentato di esporre, depongono nel senso di ritenere applicabile la disposizione ai soli atti negoziali tra privati posti in essere con particolari requisiti formali. In proposito non può esservi alcun dubbio che anche la vendita in sede divisionale, quando attuata in sede contenziosa e senza il consenso di tutti gli aventi diritto, condivide con le vendite esecutive il profilo della coattività, oltre che quello della giurisdizionalità; 2. la qualifica della sanzione comminata (come nullità civilistica) e il criterio della ragionevolezza nel bilanciamento degli interessi contrapposti, che inducono a ritenere che, 23 laddove il legislatore non abbia esplicitamente preferito l’interesse tributario perseguito rispetto agli altri interessi di caratura pubblica e/o costituzionale coinvolti (82), l’interprete deve preferire una lettura restrittiva della disposizione. A nostro sommesso avviso, dunque, la struttura della vendita giudiziale e la forma dell’atto finale (decreto di trasferimento), alla luce di una lettura basata sul dato letterale e confortata da un’interpretazione costituzionalmente orientata, sono sufficienti ad escludere l’applicabilità della disposizione anche in questo caso. In ogni caso, resterà all’iniziativa e alla sensibilità di chi dirige le operazioni divisionali e di vendita (83), anche a seconda del contegno processuale delle parti, incaricare il perito di tutte le verifiche del caso, eventualmente segnalando ai condividenti l’opportunità di una regolarizzazione catastale ai fini di una più proficua vendita. 12. Aspetti di rilievo pratico in ambito di vendita attuata ex art. 569 e ss. a mezzo di decreto di trasferimento Una volta appurato che la disposizione non si applica alle vendite attuate in sede giudiziale a mezzo di decreto di trasferimento, resta da domandarsi se la disposizione finisca, comunque, per incidere o condizionare lo svolgimento del procedimento giudiziale. Se è vero che la dichiarazione di conformità (a carico dell’attuale intestatario o di un tecnico qualificato) giova anche all’acquirente del diritto reale negoziato (84), oltre che sotto il profilo della validità dell’acquisto, in funzione della garanzia (sempre più stringente) di regolarità catastale dei beni acquistati, ci pare che tale esigenza sia rilevante anche per l’aggiudicatario in sede di vendita giudiziale, in considerazione: − delle possibili sanzioni e degli accertamenti cui il nuovo titolare potrebbe trovarsi esposto; − delle difficoltà che lo stesso potrebbe incontrare in caso di rivendita; − della generale completezza delle informazioni e del principio di trasparenza e tutela dell’affidamento che ha ispirato la scrittura del recente art. 173 disp. att. c.p.c. e tutta la disciplina di liquidazione forzata (esecutiva individuale e, come vedremo, anche fallimentare). Per tale motivo, è auspicabile che, nell’ambito delle vendite forzate in sede esecutiva: − nella redazione della certificazione ex art. 567 c.p.c., si presti particolare attenzione alla le

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