invito tutti e in particolare i cari guru della riconfinazione a riflettere su quasta sentenza che mi è capitata sottomano in cui in sostanza un confine viene determinato (se ho ben capito!!!!) non con il frazionamento che ha originato la linea ma sulla base di una planimetria dell'urbano successiva allegata all'atto di acquisto.
aspetto le vostre riflessioni e pubblico qui sotto il testo della sentenza.
grazie a quanti vorranno intervenire.
PROPRIETA' E CONFINI
Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-11-2012, n. 20556
Svolgimento del processo
Con atto di citazione dei 12-9-1985 T.L.M., premesso di essere proprietaria, in forza di atto per
notaio Giuliani del 16/5/1977 stipulato con la Parco Aurora s.r.l., di un fabbricato per civile
abitazione sito in (OMISSIS), dotato di due aree da destinare a giardino, rispettivamente di mq. 184
e 138, assumeva che P.B., nell'eseguire alcuni lavori nella proprietà confinante, aveva occupato
suolo di proprietà dell'istante. L'attrice, pertanto, conveniva in giudizio il P., chiedendo che venisse
determinato l'esatto confine tra le due proprietà, con condanna del convenuto al ripristino dei diritti
lesi, anche con modifica dello stato dei luoghi.
Nel costituirsi, il P. contestava la fondatezza della domanda, sostenendo di avere acquistato dalla
Parco Aurora s.r.i l'immobile a confine con la proprietà della T. nel medesimo stato di fatto e di
diritto in cui esso attualmente si trovava, e di non avere affatto invaso aree di proprietà dell'attrice.
Nel corso del giudizio veniva disposta la chiamata in causa di C. M.A., moglie del P. in regime di
comunione dei beni.
Con sentenza depositata il 18-3-2002 il Tribunale di Potenza rigettava la domanda, escludendo,
sulla base delle risultanze della seconda consulenza tecnica d'ufficio espletata, che i confine
esistente tra le aree a giardino, poste a contorno delle abitazioni acquistate dalle parti avesse subito
mutamenti a seguito di non riscontrati lavori posti in essere dai convenuti.
Avverso la predetta decisione proponeva appello l'attrice.
Con sentenza depositata il 25-3-2005 la Corte di Appello di Potenza rigettava il gravame.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la T., sulla base di tre motivi.
P.B. ha resistito con controricorso, mentre C.A. M. non ha svolto alcuna attività difensiva.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo la ricorrente, denunciando la violazione dell'art. 950 c.c., nonchè l'omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione, lamenta che la Corte di Appello ha fatto proprie le
conclusioni del secondo C.T.U., ignorando i titoli di proprietà delle parti, i quali fanno espresso
riferimento al frazionamento allegato al rogito Giuliani del 23-9-1976, che, pertanto, costituisce
parte sostanziale degli stessi.
Il motivo è privo di fondamento.
Con riferimento alla prova richiesta per l'accertamento dell'esatto confine tra due fondi (art. 950
c.c., comma 2), questa Corte ha più volte avuto modo di affermare che solo la mancanza o la
insufficienza di indicazioni specifiche, desumibili dai rispettivi titoli di provenienza, giustifica il
ricorso ad altri mezzi di prova, rivestendo, nella relativa indagine, importanza fondamentale il tipo
di frazionamento allegato ai singoli atti di acquisto ed in essi richiamato con valore negozialmente
vincolante (Cass. 5-7-2006 n. 15304; Cass. 15-7-2002 n. 10234; Cass. 17-5-2001 n. 6770). In
materia di regolamento di confini, pertanto, l'elemento primario di prova per l'individuazione dei
confine è rappresentato dal tipo di frazionamento allegato ai contratti, che, quale elemento
interpretativo della volontà negoziale, non lascia margini di incertezza nella determinazione della
linea di confine tra i fondi (Cass. 1-12-2000 n. 15386). In particolare, è stato puntualizzato che le
schede di accatastamento fatte redigere appositamente da un tecnico e riproducenti
planimetricamente in scala, nella sua consistenza ed estensione, un immobile non ancora censito in
catasto, sono, di norma, dirette ad individuare il bene compravenduto o assegnato e, pertanto, se
assunte quali parti integranti dell'atto contrattuale cui vengono allegate, sono da considerare non
come semplici dati catastali con valore soltanto indiziario e sussidiario, ma come fonti dei dati
medesimi, come tali idonee a determinare l'oggetto materiale del negozio (Cass. 28-11-1996 n.
10611).
Nella specie, la Corte di Appello si è attenuta agli enunciati principi, avendo proceduto alla
determinazione del confine tra i fondi delle parti sulla base di elementi desunti dai rispettivi titoli di
provenienza (derivati dalla suddivisione dell'originario appezzamento appartenente alla comune
venditrice Parco Aurora s.r.L.) e, in particolare, dalle denunce al catasto edilizio urbano fatte in data
13-12-1976 e dalle piante ad esse allegate, che, in quanto richiamate negli atti di acquisto di
entrambe le parti, assumono valore negoziale vincolante per le stesse.
Il giudice di merito, pertanto, è correttamente pervenuto alla identificazione della linea di confine
sulla base di elementi desunti dagli stessi atti di compravendita stipulati dalle parti, che, secondo
quanto accertato in punto di fatto nella sentenza impugnata, hanno riguardato beni individuati e
perimetrali nelle menzionate denunce al catasto edilizio urbano del 13-12-1976.
2) Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 1363 c.c., in relazione al
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650, art. 7. Sostiene che, contrariamente a quanto affermato nella
sentenza impugnata, nei rispettivi rogiti di acquisto sia la T. che i coniugi P. - C. non hanno fatto
riferimento al contenuto della scheda di accatastamento M1 del 13/12/1976, bensì esclusivamente al
frazionamento delle particelle delimitanti le aree a giardino allegato al rogito del 23-7-1976. La
Corte di Appello, inoltre, non ha considerato che il rogito della T., al pari di quello dei coniugi
confinanti, concerneva l'acquisto a misura di una superficie di mq. 184 + 138 di giardino, la cui
fonte andava necessariamente ricercata nel frazionamento di riferimento e non nella scheda M1. Il
D.P.R. n. 650 del 1972, art. 7, infatti, richiedeva che, qualora il trasferimento, a misura e non a
corpo, avesse luogo con frazionamento di particelle, il relativo tipo di frazionamento doveva essere
corredato di tutte le misure idonee a consentire la completa dimostrazione della determinazione
delle superfici effettive degli immobili sui quali si esercitavano i relativi diritti.
Il motivo deve essere disatteso.
Le doglianze mosse si risolvono, in buona sostanza, in mere censure di merito avverso il giudizio
espresso dalla Corte di Appello, la quale, nell'esaminare i due atti di acquisto, ha accertato che gli
stessi contengono un preciso riferimento alle denunce del catasto urbano fatte in data 13-12-1976 ed
alle piante ad esse allegate, le quali, pertanto, costituiscono la rappresentazione grafica dell'oggetto
delle vendite.
E' noto, peraltro, che in tema di interpretazione del contratto, l'accertamento della volontà degli
stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in un'indagine di fatto affidata in via
esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di
legittimità soltanto nel caso in cui la motivazione risulti talmente inadeguata da non consentire di
ricostruire l'"iter" logico seguito dal giudice per attribuire all'atto negoziale un determinato
contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche. La denuncia di quest'ultima
violazione esige una specifica indicazione dei canoni in concreto non osservati e del modo
attraverso il quale si è realizzata la violazione, mentre la denunzia del vizio di motivazione implica
la puntualizzazione dell'obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice
di merito, non potendo nessuna delle due censure risolversi in una critica del risultato interpretativo
raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione
(tra le tante v. Cass. 13-12-2006 n. 26683; Cass. 23-8-2006 n. 18375; Cass. 27-1-2006 n. 1754).
Nella specie, la ricorrente ha lamentato in modo del tutto generico la violazione dell'art. 1363 c.c.,
limitandosi, in concreto, a contrapporre alla interpretazione data dal giudice di merito alla volontà
manifestata dalle parti nei due atti di compravendita una diversa interpretazione a sè favorevole. Si
tratta, all'evidenza, di una censura che, così come formulata, risulta inammissibile.
3) Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè
dell'omessa e insufficiente motivazione, per avere la Corte di Appello erroneamente fatto proprie le
risultanze della seconda consulenza tecnica d'ufficio, nella quale il C.T.U., pur avendo riconosciuto
che dal raffronto dello stato di fatto con la mappa terreni si riscontravano delle variazioni di confine
in danno della T., aveva fatto riferimento alla denuncia del Mod. 1 invece di rintracciare la mappa
terreni.
Anche tale motivo è infondato.
La Corte di Appello ha illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto irrilevante la circostanza
rappresentata dal C.T.U., secondo cui, prima della stipula degli atti, si era avuta una discordanza in
danno della proprietà T. tra la mappa del Catasto terreni e quelle del N.C.E.U. Essa ha spiegato, con
argomentazioni immuni da vizi logici, che ciò che rileva è che gli atti di acquisto di entrambe le
parti abbiano fatto preciso riferimento alle denunce nel catasto urbano ed alle piante ad esse
allegate, che in tal modo sono divenute esplicative per l'identificazione delle proprietà. E, poichè dai
rilievi effettuati in loco dal C.T.U. non è emerso alcun cambiamento planimetrico nè altimetrico
dello stato dei luoghi, del tutto congruente e consequenziale appare la conclusione della Corte
territoriale, secondo cui il confine esistente tra le aree a giardino a contorno delle abitazioni
acquistate dalle parti in causa non ha subito mutamenti a seguito di lavori effettuati dagli appellati,
di cui, peraltro, nella sentenza impugnata è stata acclarata l'inesistenza.
Non sussistono, pertanto, i vizi denunciati dalla ricorrente, essendo la decisione impugnata sorretta
da un'adeguata e congrua motivazione, che vale a dar conto degli elementi sui quali il giudice di
merito, al quale è istituzionalmente riservata la valutazione delle risultanze probatorie, ha fondato il
proprio convincimento.
4) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente
al pagamento delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dal controricorrente P.B., liquidate
come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro
2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.
fonte:
www.geometra.info/il-valore-degli-atti-d...