La Corte di cassazione, con la sentenza n. 15312 dello scorso 24 giugno 2010, ha respinto il ricorso di un collega geometra a cui era stata contestata da parte della committenza la redazione di un tipo di frazionamento.
Venivano evidenziate da parte del cliente, che per le motivazioni addotte aveva rifiutato di pagare, delle manchevolezze sia nella dimostrazione grafica delle superfici, in ipotesi di discordanza tra superficie reale e catastale, sia l'omessa compilazione del modello prescritto per la divisione di un fabbricato rurale.
Il collega aveva ottenuto un decreto ingiuntivo poi annullato dal Tribunale, decisione confermata in Corte d'Appello e resa definitiva in Cassazione.
Secondo il collegio giudicante il timbro dell'Agenzia del Territorio non comprova l'idoneità degli atti compilati al conseguimento dello scopo prefisso in quanto trattasi di una pura annotazione burocratica, attestante la ricezione degli atti e l'approvazione degli stessi. SI RIPORTANDO DI SEGUITO GLI ESTREMI DELLA SENTENZA:
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CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA 24 GIUGNO 2010, N. 15312
Svolgimento del processo
Su ricorso del geometra (...) il Presidente del tribunale di Rossano emise decreto ingiuntivo in data 5.4.91 a carico di (...) per il pagamento della somma di L. 5.937.100, quale corrispettivo per le operazioni di frazionamento di un immobile.
Si oppose l’ingiunto, deducendo il negligente adempimento dell’incarico professionale, con conseguente inservibilità della prestazione; all’opposizione resistette il (...).
Espletata consulenza tecnica, con sentenza del 27.5.98 il giudice del tribunale adito accolse l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e compensando interamente le spese.
All’esito dell’appello del professionista, resistito dall’appellato, la Corte di Catanzaro, dopo aver ammesso ed espletato una nuova consulenza tecnica, respingeva il gravame, ritenendo anch’essa che la prestazione espletata dal geometra fosse inutilizzabile (per manchevolezze nella dimostrazione grafica delle superfici, in ipotesi di discordanza tra superficie reale e catastale, ed omessa compilazione del modello prescritto per la divisione del fabbricato rurale), sicché, tenuto conto della natura di obbligazione di risultato di quella professionale in questione, legittimamente il committente si era rifiutato di adempiere, a sua volta, quella a suo carico anche le spese del giudizio di appello venivano interamente compensate.
Contro tale sentenza il (...) ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui il resistito il (...) con controricorso, contenente ricorso incidentale.
Motivi della decisione
Va preliminarmente disposta la riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
Il ricorrente principale lamenta, nel non titolato mezzo d’impugnazione, che la sentenza impugnata sarebbe “sensibilmente viziata nella sua motivazione”. In particolare la decisione non sarebbe “fondata sulle complete ed esaurienti argomentazioni sostenute nelle relazioni peritali depositate nei due gradi di giudizio..”, dalle quali segnatamente da quella espletata in primo grado, la corte di merito avrebbe estrapolato ed evidenziato solo alcune parti, senza tener conto di altre, in cui sarebbe stato affermato che “il tipo di frazionamento...concretizzatosi dopo il regolare iter procedurale, con l’elaborazione e l’approvazione del mod. FTP...” rappresenterebbe “fedelmente l’esecuzione dell’incarico commissionatogli...” La stessa ritenuta omissione della dimostrazione grafica di cui all’art. 6 DPR 650/72, in ipotesi di differenza tra superficie reale e catastale eccedente i limiti legali di tolleranza, sarebbe stata giustificata dal medesimo consulente tecnico sul rilievo che nel caso specifico, integrante una “situazione anomala”, sarebbe risultata “senz’altro più laboriosa e complessa di quella tradizionale”, e concludendo che comunque “il frutto del frazionamento eseguito” non avrebbe “provocato nel complesso, sostanziali riduzioni delle due quote di competenza del (...)”. Né sussisterebbe l’omissione del c.d. “mod. 6” relativo alla divisione del fabbricato, essendo stato lo stesso posto in visione dal (...) ad entrambi i consulenti tecnici di ufficio, così come annotato nei rispettivi verbali d’inizio delle operazioni peritali. Erroneamente, pertanto, sarebbe stata negata l’utilizzabilità della prestazione, pur essendo risultata l’esistenza di un frazionamento, con i relativi allegati debitamente sottoscritti dal (...), timbrati e vidimati dall’Ufficio Tecnico Erariale di Cosenza, atto avente tutti i requisiti per assolvere agli scopi per i quali era richiesto dalla normativa vigente ed a conferma di tanto, infine, il c.t.u. avrebbe anche determinato l’ammontare delle spettanze dell’odierno ricorrente, sia pur riducendo del 20% l’importo della parcella, così implicitamente ravvisando l’adeguatezza della prestazione.
L’impugnazione non merita accoglimento.
Il ricorrente non contesta in punto di diritto, la premessa di principio, secondo cui la prestazione professionale particolare dedotta nell’incarico, quella di procedere al frazionamento di un immobile, costituirebbe un’obbligazione di risultato, ma, denunciando vizi della motivazione ex art. 360 co. I n. 5 c.p.c. sostiene che nella specie, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici dei due gradi di merito, tale risultato sarebbe stato concretamente ottenuto, fornendo al committente elaborati idonei a consentire le modifiche catastali richieste ai fini del frazionamento dell’immobile. Ma tale tesi si regge su doglianze, che, senza evidenziare effettive ed intrinseche carenze o illogicità dell’apparato argomentativi della decisione impugnata, si risolvono in palesi censure in merito, proponendo un interpretazione delle risultanze processuali difforme da quella resa dalla corte di merito, il cui accertamento d’inidoneità della prestazione professionale si basa sull’essenziale rilievo di alcune rilevanti omissioni, tali da non consentire l’utilizzabilità degli elaborati. Tali omissioni in parte vengono solo minimizzate, sull’assunto di una particolare difficoltà della fattispecie, che comunque non sarebbe sufficiente a giustificare il mancato raggiungimento del risultato perseguito, ed in parte negate, sostenendosi la presenza in atti, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici sulla scorta delle risultanze peritali, dei modelli omessi, così sostanzialmente deducendo un errore di natura revocatoria (concretizzatosi nell’aver negato l’esistenza di documenti incontrovertibili risultanti dagli atti del processo), che per la sua riconducibilità all’ipotesi di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c. esula dal giudizio di legittimità.
Né la circostanza che il frazionamento sia stato timbrato e visitato dall’Ufficio Tecnico Erariale può comprovare l’idoneità degli atti compilati al conseguimento dello scopo prefisso, non equivalendo tali annotazioni burocratiche, attestanti la ricezione degli atti depositati, ad approvazione degli stessi.
Irrilevante è infine la determinazione peritale delle spettanze del ricorrente, rappresentando la stessa una mera proposta del c.t.u. di valutazione, peraltro parzialmente riduttiva, dell’attività professionale di fatto espletata dal professionista, prescindente dalla concreta idoneità della stessa a conseguire il risultato; e sulla necessità, in linea di principio, di tale condizione, ai fini dell’esigibilità della controprestazione, il ricorso, non ha mosso censure.
Il ricorso principale va, conclusivamente, respinto.
Con il ricorso incidentale il (...) si duole della regolamentazione delle spese, deducendo, nel primo motivo, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, perché la Corte d’Appello, nel giustificare la totale compensazione delle spese di secondo grado, si sarebbe limitata alla generica ed apparente motivazione “della particolarità delle questioni esaminate”, e nel secondo “violazione e falsa applicazione di norma di legge (art. 91 c.p.c. e art. 24 Cost.), perché i giudici di appello, violando il principio della soccombenza, che era stata totale per il (...), avrebbero indebitamente confermato l’analoga compensazione disposta da quello di primo grado.
Entrambi i motivi sono fondati.
Costituisce principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa corte quello secondo cui, anche il regime anteriore alle modifiche apportate all’art. 92 c.p.c dalla L. 263/06, il potere discrezionale del giudice di merito di compensare le spese, fuori dei casi di reciproca soccombenza, per non risolversi in mero di compensare le spese, fuori dei casi di reciproca soccombenza, per non risolversi in mero arbitrio (tale da vanificare sostanzialmente il diritto alla difesa, nei casi in cui le spese sostenute per il giudizio eguaglino o superino, come nella specie, il valore della controversia), deve essere adeguatamente motivato o comunque riconducibile a ragioni giustificative implicitamente evincibili dal contesto della motivazione (tra le altre v. Cass. 5783/06, 1422/06, 17868/09, 7766/10 S.U. 20598/08).
Nel caso di specie la corte di merito si è limitata a giustificare l’operata compensazione delle spese di giudizio di appello con la “particolarita delle questioni esaminate e la soluzione adottata”, formula palesemente di stile, che non dando conto delle concrete ragioni giustificative della statuizione, comunque non evincibili dal contesto complessivo della decisione, si risolve in una palese motivazione apparente, da considerarsi pertanto omessa 8sostanzialmente in termini cass. 14563/08, circa l’analoga formula relativa alla “peculiarità della fattispecie”). Deve pertanto essere accolto il primo motivo.
Fondato è anche il secondo, perché la corte di merito, nonostante l’espressa richiesta di riforma della altrettanto immotivata, statuizione compensativa contenuta nella sentenza di primo grado formulata dell’appellato (v. narrativa a pag. 3 e conclusioni riportate in epigrafe della sentenza d’appello), integrante un vero e proprio gravame incidentale (che per costante indirizzo di questa corte non è soggetto a formule sacramentali, ben potendo essere desumibile dal contesto di inequivoche, ancorchè non titolate, richieste contenute nella comparsa di costituzione e risposta dell’appello: (v. tra le alttre cass. 21615/04, 6339/98, 6479/95, 6633/87) non ha provveduto al riguardo, così incorrendo nel vizio di omessa pronunzia, sostanzialmente dedotto nel mezzo di impugnazione.
La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in relazione alle censure accolte con rinvio ad altra sezione della corte territoriale di provenienza, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, rigetta il principale, accoglie l’incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.